giovedì 16 luglio 2015

Repubblica 16.7.15
Per gli iraniani è come il crollo del Muro di Berlino
Il futuro. In queste ore i giovani sperano di viaggiare, partecipare e tornare a essere cittadini del mondo
di Azadeh Moaveni


SE DOVESSI scegliere una parola per provare a raccontare quello che pensano le persone normali in Iran, senza dubbio sceglierei speranza. In queste ore ci sono così tante persone che sperano nel mio Paese di origine: sperano di poter comprare cibo migliore per la loro famiglia perché i prezzi dei beni alimentari scenderanno con la fine delle sanzioni, sperano di poter lavorare appieno avendo accesso a tutte le tecnologie disponibili, sperano di viaggiare, partecipare e tornare ad essere cittadini del mondo.
Penso ai giovani soprattutto: a tutti quelli che sognano di studiare all’estero, ma non hanno mai potuto farlo, che volevano prendere un diploma universitario online ma non hanno mai potuto iscriversi ai corsi, a quelli che meritano di avere le stesse possibilità che hanno i loro coetanei che studiano nel resto del mondo. E penso a chi sogna di andare in vacanza in Turchia o a Dubai. In Iran c’è la classe media più istruita della regione, che ha sempre amato viaggiare, una classe media moderata e desiderosa di confrontarsi con il resto del mondo, ma che per anni ha perso la possibilità di essere cosmopolita e si è ridotta a chiudersi su se stessa: come è successo alla classe media irachena negli anni di Saddam Hussein. Fino a oggi potevano viaggiare solo i molto ricchi: oggi 18 milioni di persone sperano di potersi aprire di nuovo al mondo, di leggere i giornali che tutti leggono, accedere agli stessi siti Internet, scaricare libri da Amazon e partecipare alla conversazione globale.
Per questo fra gli iraniani più liberali c’è chi parla di questo accordo come dell’equivalente della caduta del Muro.
Poi c’è l’economia: l’Iran è un paese ricco di risorse naturali e pieno di potenzialità. Se venissero sfruttate, come non è stato possibile finora, sono pronta a scommettere che in 10 anni questa si trasformerà in una delle 10 economie più ricche del mondo, superando la Turchia, come era una volta. Penso alla speranza degli imprenditori, che non dovranno più rivolgersi al mercato nero per avere i pezzi di ricambio necessari per i loro macchinari e potranno finalmente pagarli il giusto e non tre volte il prezzo reale come è accaduto finora.
Per questo oggi mi sento ottimista.
Tante persone dicono che non ci si può fidare dell’Iran, ma credo che questo accordo sia ricco di clausole di controllo e che il controllo ci sarà. Penso anche che quando l’ayatollah Khamenei mette tutto il suo peso dietro a un’intesa, quell’intesa sarà rispettata.
Qual era del resto l’alternativa? Attacchi militari su Isfahan e sulle altre centrali, nuova tensione, possibili reazioni. Sedersi a un tavolo e cercare una soluzione negoziale come questi sei Paesi hanno fatto con l’Iran era la cosa più giusta. A chi dice che l’Iran non rispetterà i patti, rispondo che per anni ha detto “no” a ogni accordo: se ora è arrivato un “sì” significa che c’è la volontà di mettere da parte o almeno interrompere la tensione. Ci saranno, certo, quelli che sono contrari: sono una minoranza di persone, molte delle quali corrotte, che dalle sanzioni hanno guadagnato molto, creando un’economia sotterranea.
Tutti gli altri staranno ad ascoltare Khamenei.
Del resto, anche in America la strada dell’accordo non è semplice: ma da cittadina americana penso che chi si oppone a questo accordo si oppone principalmente alle politiche di Obama, qualunque esse siano. A queste persone chiedo che alternativa ci sarebbe oggi per far scendere la tensione in Medio Oriente e arginare il dilagare dell’Is. Riguardo al pubblico americano, posso sperare che la retorica del confronto con Teheran venga presto archiviata e che una nuova, giovane, classe di diplomatici aiuti a far capire al mondo che il tempo dello scontro aperto è finito.
Quanto a me, spero di poter tornare a Teheran: manco dal 2009 e da lontano ho visto nascere nuove mode, nuovi esperimenti tecnologici, nuovi movimenti sociali, come quello degli ambientalisti. Mi piacerebbe andare a guardare tutto questo con i miei occhi e davvero capire se il Muro è crollato anche per l’Iran.
(testo raccolto da Francesca Caferri)
L’AUTRICE Azadeh Moaveni è una giornalista e scrittrice irano-americana Fra i suoi libri pubblicati in Italia “Lipstick Jihad” e “Viaggio di nozze a Teheran” (ed. Newton Compton)