mercoledì 15 luglio 2015

Repubblica 15.7.15
L’amaca
di Michele Serra


Si intensificano voci e buoni propositi sulla nascita di una nuova formazione di sinistra, fuori del Pd e sua concorrente. Per i meno giovani scatta inevitabile, pavloviano, un effetto di già visto e già sentito, e ripassano davanti agli occhi le mille volte che volonterosi e/o insofferenti hanno cercato di fare una sinistra più di sinistra; che poi ha finito per essere, quasi sempre, non qualcosa che moltiplica e aggiunge, ma qualcosa che divide e sottrae: ultimo caso, da manuale, le elezioni regionali in Liguria, ineluttabile catastrofe già perfettamente descritta da più parti prima di compiersi. Questa tragica modalità, che nella storia della sinistra è sempre stata dissolutoria, non è mai imputabile solo a quelli che se ne vanno a fare un nuovo partito, diciamo agli scissionisti. È imputabile (nel Pd di Renzi più che mai) anche a quelli che rimangono, e non sono stati capaci di dare un tetto politico decente anche agli irrequieti e ai dissidenti. Quando la doppia debolezza — quella del nuovo partito troppo piccolo e di quello vecchio non più abbastanza grande — avrà compiuto il suo implacabile corso, vincerà la destra. Le eccezioni a questa regola sono rarissime e memorabili. Una, la più prossima a noi, si chiama Pisapia. Bisognerebbe che prima di andarsene da Palazzo Marino lasciasse un breve memorandum per spiegare come ha fatto. Però in due copie, per evitare che i dem e i non più dem litighino su chi deve leggerlo per primo.