giovedì 16 luglio 2015

Repubblica 15.7.15
L’Iran e il fronte saudita
di Renzo Guolo


L’ACCORDO di Vienna sul nucleare iraniano manda in fibrillazione il sistema di alleanze degli Stati Uniti. Non solo Israele ma anche l’Arabia Saudita considera l’intesa un “errore storico”. A Ryad il finale di partita era atteso: la mancata presenza di re Salman in maggio al summit di Camp David nel quale Obama puntava a rassicurare gli alleati del Golfo era un segnale evidente. Non per questo il colpo è stato meno duro. La scelta di Obama, infatti, ridisegna il Medioriente. È evidente che per la Casa Bianca il pericolo non è più la Repubblica Islamica ma il radicalismo sunnita che, attraverso lo Stato Islamico, mette in discussione gli assetti geopolitici della regione e funziona da magnete per il terrorismo. In questa logica l’Iran, acerrimo rivale dei sauditi, può svolgere, per motivi politici e religiosi, un importante ruolo di contenimento dello jihadismo sunnita. Sono queste valutazioni che hanno condotto l’amministrazione Obama a chiudere l’accordo rimettendo nel great game mediorientale Teheran. Per l’Arabia Saudita lo sdoganamento iraniano rappresenta una formidabile battuta d’arresto nella lunga marcia per diventare potenza regionale egemone. Ruolo conteso proprio dagli iraniani. Certo, a Vienna si è discusso di nucleare ma nessuno è cosi cieco da non comprendere che con quell’accordo l’Iran viene legittimato come potenza d’influenza. D’ ora in poi i dossier di Riad si complicano. A partire dal teatro mesopotamico, dove i sauditi sostengono forze ostili a Teheran e svolgono il ruolo di protettori confessionali dei sunniti. Sarà ora ancora più difficile esigere che l’Iran sia esclusa dalla gestione dei conflitti in Siria e Iraq. Se sin qui gli iraniani, che insieme ai loro alleati Hezbollah hanno messo gli stivali sul terreno per frenare l’avanzata dell’Is, facevano parte solo di fatto dell’alleanza che si oppone al Califfato, da oggi lo scambio politico implicito all’accordo sul nucleare li catapulta al centro della scena. Con grande rabbia di Riad, che ora potrebbe dosare il suo impegno su quel fronte per evitare che Teheran appaia come la forza decisiva nello sconfiggere le forze di Al Baghdadi. Ma i riverberi arrivano sino allo Yemen dove, con la protezione iraniana, gli sciiti puntano a un diverso assetto di potere.
Ai danni politici prodotti dallo sdoganamento iraniano, si aggiungono quelli legati a fattori religiosi. Seguaci di un wahabbismo purista e intransigente ostile agli sciiti ritenuti “eretici”, i sauditi non gradiscono affatto il rafforzamento del prestigio degli odiati duodecimani. Non da ultimi gli effetti sul petrolio. L’ingresso degli iraniani nel grande gioco del mercato petrolifero prelude a un ribasso del prezzo del barile mettendo in discussione le strategie di mercato dei Paesi del Golfo. Mentre la rimozione delle sanzioni sugli idrocarburi consentirà a Teheran non solo di incassare valuta per rammodernare le tecnologie estrattive ma anche di destinare parte delle royalties a finanziare lo sviluppo degli armamenti convenzionali. Insomma, un problema su tutti i fronti per Riad.
Non è escluso, dunque, che i sauditi cerchino di mettere in difficoltà gli odiati rivali, ogni qual volta ve ne sarà occasione. Puntando a mostrarne l’inaffidabilità sistemica. Anche esasperando tensioni che inducano Teheran a reagire con modalità che possono far riemergere i fantasmi del passato. Vienna chiude, dunque, un conflitto tra antichi nemici ma apre un fronte, non meno problematico, tra Washington e i suoi alleati strategici in Medioriente.