La Stampa 16.7.15
Perché Israele ora si sente abbandonato
di Maurizio Molinari
Per immergersi nella reazione di Israele all’intesa di Vienna sul nucleare iraniano bisogna mettersi in fila da Rachmo, la mensa degli operai di «Machanè Yehuda», il mercato popolare di Gerusalemme.
In fila davanti alla cucina ci sono manovali, verdurai e appassionati di hummus assieme ad un’anziana molto determinata che tiene banco sull’Iran. Si chiama Chanka, è nata in Transilvania 79 anni fa, vive a Gerusalemme da prima della nascita dello Stato, e scherza con il cuoco parlando arabo con accento ashkenazita. «Cosa è tutto questo chiasso per Vienna? Siamo sempre stati soli e lo saremo anche ora» dice Chanka, trovando l’assenso di chi è in fila con lei. «Mai illudersi di essere protetti dal mondo» aggiunge un venditore di frutta. E’ l’umore che «Yedioth Aharonot», il giornale più diffuso, trasforma nel titolo a tutta pagina «Il mondo si arrende all’Iran» per descrivere una resa delle maggiori potenze al regime più ostile al popolo ebraico con modalità, contenuti e linguaggio tali da evocare Monaco 1938, quando Francia e Gran Bretagna sacrificarono la Cecoslovacchia a Hitler e Mussolini nella vana speranza di «salvare la pace» ma in realtà precipitando l’Europa in guerra. Pur sapendo di «dover far tutto da soli», come ripete Chanka, sin dalla nascita dello Stato, questa volta l’amarezza di Israele si distingue per la sensazione di essere stata abbandonata anche dal presidente del Paese più vicino, gli Stati Uniti. Meydan Ben Barak, già regista della «war room» del consiglio di sicurezza nazionale del governo Netanyahu, spiega così la differenza fra l’America e Obama: «Come nazione resta la nostra migliore alleata, siamo legati da molte e importanti intese, ma a Vienna l’amministrazione ha avallato un accordo molto negativo per noi, che peggiora la nostra situazione in Medio Oriente». Il motivo è nel giubilo di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, per l’accordo sul nucleare. «Nasrallah gioisce perché in quanto alleato dell’Iran - spiega Ben Barak - riceverà più armi e fondi da Teheran grazie alla fine delle sanzioni. Hezbollah sarà più forte come lo saranno le milizie sciite in Siria, Iraq, Yemen e altrove». Si tratta dello schieramento militare che più minaccia Israele. Le analisi sul tavolo di Netanyahu disegnano lo scenario di attacchi contemporanei, missilistici e non, da Sud Libano, Gaza e Golan da parte di «alleati dell’Iran». Il pericolo non è solo l’atomica di Teheran «che l’accordo rende possibile», come dice Yuval Steinitz consigliere del premier, ma l’accresciuta minaccia di attacchi convenzionali e terroristici grazie alle nuove, ingenti risorse, a cui Teheran avrà accesso con la fine delle sanzioni. Per gli israeliani significa sentirsi assediati, e in pericolo, come non avveniva dal 1967, quando gli Stati arabi guidati dall’Egitto di Nasser minacciavano la loro «distruzione totale». Ecco perché torna, nei mercati come fra gli analisti, la discussione sull’opzione militare ovvero un attacco preventivo contro il nemico più minaccioso in grado di allontanare il pericolo, proprio come avvenne con la guerra dei Sei Giorni. Avi, 35 anni, autista di bus con tre figli, dice: «Se abbiamo Tzahal è per affrontare queste situazioni». E Ben Barak aggiunge: «Abbiamo molte capacità difensive, l’intelligence su cui possiamo contare è formidabile e sarà presto più efficace». Israele sa di potersi difendere da Teheran ma non cela la delusione per essere stata lasciata sola. Anche se vi sono voci, come Uzi Eilam, ex capo della commissione nucleare nazionale, che danno un’altra lettura: «L’accordo allontana di 10 anni l’atomica iraniana e in questa regione è un periodo molto lungo, può giovare alla nostra sicurezza».