domenica 12 luglio 2015

Repubblica 12.7.15
Il bello Samizdat
Quando l’Individuo (con macchina per scrivere) si sostituì allo Stato
Le riviste clandestine sovietiche furono importanti armi del dissenso Anche grafico. Sfogliare per credere
di Giuseppe Dierna


NEL FEBBRAIO 1969 Jurij Andropov — futuro segretario del Partito comunista, ma all’epoca solo direttore del Kgb — in un’informativa al Comitato centrale parla della «diffusione della letteratura non sottoposta a censura, detta anche samizdat», quella produzione cioè — prima dattiloscritta, poi fotocopiata — che si sottraeva al controllo dello Stato. Sembrerebbe essere stato lui il primo a utilizzare ufficialmente quella parola destinata a entrare nel discorso comune e a sopravvivere anche alla scomparsa dell’Urss. Di questa «cosiddetta letteratura samizdat, diffusa nella cerchia dell’intelligencija e degli studenti» lo preoccupa soprattutto la sopravvenuta politicizzazione, che aveva coinciso con la crisi cecoslovacca del ‘68. Non ci si accontenta più di pubblicare, in poche copie, testi letterari del passato ignorati dall’editoria ufficiale o pericolosi testimoni della contemporaneità come Solzenicyn o Šalamov. Cominciano ora a circolare «materiali ideologicamente dannosi» (ancora Andropov) che vanno dall’economia alla politica alla memorialistica, fino a provocatorie lettere aperte. L’allarmato Andropov aveva certo in mente riviste come la Cronaca degli avvenimenti correnti , bollettino dattiloscritto che proprio dal ‘68 informava i lettori sulle sistematiche violazioni dei diritti umani, arresti e confische. Le copie sopravvissute all’usura sono mucchietti di carta velina in copia carbone, talvolta difficili da decifrare, tenuti insieme con rigide cartelline da ufficio.
Ma in quel ‘69 il samizdat aveva già una sua storia, nata negli anni ‘50 all’intersezione tra la liberalizzazione delle macchine da scrivere (solo da allora accessibili ai privati) e la politica degli alloggi voluta da Kruscev, che pone fine alle coabitazioni. Macchina per scrivere e solitudine: l’editoria clandestina può partire. Il nome faceva ironicamente il verso al Gosizdat, l’acronimo che indicava le monopolistiche Edizioni di Stato, dove allo Stato ( Gos —) si sostituiva l’individuo ( sam —), a segnalare una “produzione in proprio”. E allo stesso modo si formerà lo speculare tamizdat , a indicare le pubblicazioni in russo approntate all’estero ( tam , cioè: “là”). E non va dimenticata neanche la circolazione di testi audio, il magnitizdat , che — a corto di bande magnetiche da registrare — utilizzava lastre radiologiche usate, conquistandosi la definizione un po’ splatter di “musica sulle costole”. A queste importanti reliquie della cultura sovietica del secondo Novecento — e soprattutto alle variegate riviste — ha dedicato un libro, molto bello e informato, Valentina Parisi: Il lettore eccedente , dove l’aggettivo rimanda a quel sovrappiù di ruoli che ricade ora sulle sue spalle: è lui a scegliere i testi da ricopiare, è lui a ricopiarli, è lui a rischiare la galera ed è lui — spesso — anche a intervenirci impunemente, integrandoli, correggendoli (scatenando anche furiose proteste, come quelle di Varlam Šalamov che vedeva i suoi
Racconti della Kolyma linguisticamente «normalizzati» dagli interventi dei lettori-copisti). Ci si sbizzarriva a trovar titoli per quelle riviste strettamente sorvegliate che si riallacciavano ai fogli studenteschi degli anni ‘50, effimeri giornali murali di facoltà (uno di questi, listato a lutto, annunciava nel ‘56 «i funerali del realismo socialista»). C’è chi la sua rivista la chiama Bumerang , tematizzando la necessaria risposta da parte del lettore, o semplicemente 37, alludendo sì al numero dell’appartamento dove ci si riuniva, ma anche al 1937, l’anno delle grandi epurazioni. Una s’intitolerà Posta settentrionale riecheggiando l’osteggiatissima Posta invernale di Iosif Brodskij, un’altra Optima , organo di un gruppo di «maestri d’ottimismo» ma anche omaggio all’omonima macchina da scrivere utilizzata. Un’altra semplicemente La rivista di Mitja, dal diminutivo del caporedattore, e sarà l’unica a uscire anche dopo l’implosione dell’Urss.
Da sottolineare l’aspetto iconografico, a cominciare dalle copertine che spesso citavano modelli russi anni ‘10, e la loro vicinanza al concettualismo moscovita (Rubinštejn, Prigov). E se alcune delle riviste pubblicano spesso documentazione su mostre in spazi privati o visite agli atelier di artisti non ufficiali, i redattori di Segni di una nuova pittura vanno ben oltre, appaltando un paio di numeri direttamente a due gruppi artistici, per cui quello ideato nel ‘76 da “Azione collettiva” si presenta come un pieghevole dalle dimensioni disarmoniche, con su minimalisticamente annotate le singole fasi della preparazione grafica, mentre il fascicolo gestito dal gruppo “Muchomor” è un leporello di forma quadrata, coperto di acquarelli dal tratto infantile e scritte oscene. E se ancora oggi colpiscono le dirompenti copertine di Terza modernizzazione , assemblaggi che mescolano frammenti di giornale e cartoline di propaganda, reperti pubblicitari, monetine, lamette e tutta quella «spazzatura» che già aveva affascinato Kurt Schwitters, gli esperimenti più radicali sono appannaggio dei coniugi Sergej Sigej e Ry Nikonova. La rivista manoscritta Il numero , che rimanda ai libri vergati a mano da Chlebnikov e Krucënych negli anni ‘10, presenta appositi spazi vuoti e tasche con dentro disegni e riproduzioni di quadri, ed esortazioni al lettore a intervenire lui stesso su quell’unico esemplare. Il passo successivo dei due sarà il più raffinato dei samizdat, Transponans , «rivista di teoria e pratica del dilettantismo», che dal 1985 assume l’aspetto di un corpo tridimensionale alieno: sul lato destro delle pagine è inciso un piccolo triangolo da cui a sua volta sbuca il vertice di un ulteriore triangolo infilato nel corpo della rivista e i cui vertici residui fuoriescono in alto e in basso, e — all’interno di questo triangolo — un’ulteriore struttura quadrata raccoglie gli inediti dell’avanguardia d’inizio Novecento. Non più mero supporto asettico di contenuti puramente verbali, la rivista samizdat ostenta ora — nella sua forma grafica «inammissibile»— tutta la propria opposizione.