domenica 12 luglio 2015

Repubblica 12.7.15
Il senso della letteratura per Michel Foucault
“La grande straniera” è una raccolta di scritti degli anni Sessanta che il filosofo francese dedicò alle considerazioni su linguaggio e grandi scrittori
di Pier Aldo Rovatti


Il rischio che si corre con un autore come Michel Foucault è di archiviarlo nel modo peggiore, seppellendolo sotto uno strato di luoghi comuni prodotti dalla circolazione stessa dei suoi testi più noti, dalla Storia della follia a Sorvegliare e punire e alla
Volontà di sapere . Quando un discorso diventa così pubblico si tende a semplificarlo e a rinchiuderlo in parole feticcio, per esempio la coppia sapere/potere, da accettare o da rifiutare come tali. Nei tre decenni dopo la sua morte abbiamo potuto leggere migliaia di pagine che non conoscevamo, grazie alla pubblicazione degli scritti sparsi e con l’ingente lascito dei manoscritti ancora inediti nei prossimi anni il cantiere foucaultiano si aprirà sempre di più e non senza sorprese.
La grande straniera è una raccolta di scritti della prima fase, anni Sessanta, attorno alla questione della letteratura. È un libro-cerniera che ci fa entrare nel cantiere da una porta considerata in genere secondaria, ma che secondaria per Foucault non è mai stata. Contiene tre interventi: parte di un ciclo radiofonico del 1963 dedicato al “Linguaggio della follia”, una lunga conferenza del 1964 tenuta a Bruxelles su “Letteratura e linguaggio”, e una conferenza in due parti del 1970, all’università di Buffalo, su “Sade”.
Che Foucault abbia imbarcato nelle sue prime opere molta letteratura è cosa nota. Meno condivisa è la risposta al perché di tanto interesse. Le considerazioni che fa a proposito dell’intreccio tra linguaggio e follia sono preziose, ma è dalle lezioni di Bruxelles che possiamo ricavare una risposta: Foucault stesso si chiede “che cos’è la letteratura?”. La letteratura – così dice – non è più pensabile, almeno a partire da Mallarmé, come la ripetizione “retorica” di un linguaggio fondamentale, ma deve essere considerata come una “cavità” e una “distanza” scavate nella lingua comune. Sarebbe simile a una sospensione o a uno sviamento di senso che si aprono dentro le parole. E dunque avrebbe quel carattere di “perdita” che appartiene al simulacro.
È sorprendente che Foucault esemplifichi questa sua ipotesi in Marcel Proust attraverso un’analisi insistita dell’incipit della Recherche , “A lungo mi sono coricato di buonora”, per mostrare come in realtà siamo qui lontanissimi da un’ovvia quotidianità. Appunto: dovremmo riuscire a leggere questa riga come qualcosa di straniero, dove già si intravvede il percorso di perdita che caratterizzerebbe tutte le pagine dell’opera proustiana.
È proprio così vero che in seguito Foucault volta pagina? Sì e no. Ecco un compito impegnativo per la critica. Uno spunto: il linguaggio terso e trasparente che attribuiamo a Foucault, è così lontano da un’apparente ovvietà nella quale sta nascostamente operando uno svuotamento letterario?
AGRANDE STRANIERA di Michel Foucault CRONOPIO TRAD. DI MATERIALI FOUCAULTIANI PAGG. 152, EURO 16