mercoledì 8 luglio 2015

La Stampa 8.7.15
Il ddl scuola verso l’ok definitivo ma i professori tornano in piazza
La riforma alla Camera: la maggioranza non teme
Presidio dei prof con i 5 Stelle. Contestati gli ex Pd
di Francesca Schianchi


«Alessa’ qui dicono che ti adorano», scherza un manifestante. «Stiamo solo facendo il nostro dovere», si schermisce tutto serio il deputato M5S Alessandro Di Battista, accolto come una star nella piazza davanti a Montecitorio insieme ad altri colleghi pentastellati, lì dove urla dal microfono che «faremo di tutto perché Mattarella si renda conto che firmare questo ddl significa contribuire ad assassinare la scuola pubblica» tra gli applausi di insegnanti, sindacalisti, studenti riuniti per continuare la loro battaglia contro la riforma della scuola di Renzi, tornata ieri in Aula alla Camera per la terza e definitiva approvazione.
«Civati, è troppo tardi»
Mentre a pochi metri da lì, nell’ovattato emiciclo di Montecitorio, sta per iniziare la discussione generale sulla legge, sotto il sole cocente della piazzetta antistante sventolano le bandiere di vari sindacati, alcune del M5S, una della Grecia, il mondo della scuola racconta la propria protesta al grido di «Renzi ti manderemo a casa» e di striscioni come «Contro chi calpesta la Costituzione noi faremo la rivoluzione» e «Mai più voterò Pd». E infatti i fuoriusciti dem Stefano Fassina e Pippo Civati vengono contestati («troppo tardi», urlano, «dimezzati lo stipendio»): «Alcuni militanti grillini hanno scambiato la protesta per un comizio elettorale, non si attacca chi è d’accordo con te», s’infastidisce Civati, che fa sapere di avere già pronti i quesiti referendari per smontare la legge. «La riforma non va bene», solidarizza anche Sel con i manifestanti, che si spostano poi in corteo verso il Quirinale per appellarsi simbolicamente al capo dello Stato, perché non firmi la legge. «Ci batteremo in Parlamento perché il ddl non venga approvato», promette Arturo Scotto di Sel dal palco della piazza.
L’ok definitivo in settimana
Una battaglia destinata però a sicura sconfitta, stando ai numeri. Piano di assunzioni per centomila precari, più poteri ai presidi, valutati ogni tre anni da ispettori esterni, detrazioni e credito di imposta per chi fa donazioni: tutto resta come il testo uscito dal Senato, non si cambia una virgola, è l’ordine della maggioranza, altrimenti il testo dovrebbe tornare al Senato. «Chiudiamo la legge in settimana, e senza fiducia», assicura il capogruppo Pd Ettore Rosato. E, dati i numeri abbondanti della maggioranza alla Camera, nessuno si aspetta sorprese. Nemmeno se, come sembra, una parte della minoranza Pd dovesse non votare la legge (28 non diedero il loro sì nel primo passaggio): «Io non la voto», fa già sapere il dissidente Alfredo D’Attorre. E dubbi li nutrono anche altri, da Roberto Speranza («vedremo, ma il mio giudizio politico resta negativo») a Gianni Cuperlo: «Vediamo il testo finale, io spero ancora si possa emendare». Cosa che, però, viene esclusa categoricamente. Probabile l’approvazione giovedì sera.