lunedì 6 luglio 2015

La Stampa 6.7.15
Prodi: “L’Europa si è persa per strada, Cina e Usa eviteranno il crollo dell’euro”
Il Professore: “Se non diventa un’autorità federale sarà fatta a pezzi dagli Stati”
intervista di Fabio Martini


Alle 10 della sera, dopo aver seguito lo scrutinio, Romano Prodi è tranchant: «Diciamo la verità, il risultato del referendum greco in queste proporzioni non se lo aspettava nessuno. Non è più tempo di rinvii, l’ora è adesso: la Grecia sta scoppiando e se l’Europa non trova una soluzione, non è più credibile. Alla svelta si apra un tavolo per un compromesso in Grecia, ma al tempo stesso l’Europa ne apra un altro, più grande: abbandoni la dottrina di questi anni, perché altrimenti - stiamo attenti - altri casi-Grecia si susseguiranno fino alla distruzione del disegno europeo. O realizziamo una autentica autorità federale europea, una Europa federale, con un governo e un Parlamento forti, oppure le forze nazionali, che sono diventate dominanti rispetto alle istituzioni comunitarie, ridurranno l’Europa a pezzi». Per cinque anni presidente della Commissione europea, ancora ascoltato da alcune delle più influenti cancellerie, da tempo Romano Prodi denuncia l'affievolimento dello spirito comunitario, la debolezza della leadership europeista della cancelliera di Germania e in questa intervista a “La Stampa” racconta come in prima persona abbia contrastato la deriva che poi ha portato alla crisi greca.
Dopo l’avventura greca, l’Europa potrà essere la stessa?
«No, non potrà essere la stessa, ma a salvare l’Europa, una volta ancora, sarà una forza esterna che ci costringerà ad un compromesso».
Gli Stati Uniti?
«Gli Usa e la Cina temono entrambi un evento deflagrante. Hanno paura che uno sfaldamento progressivo dell’euro provochi una nuova tempesta in tutto il sistema economico e politico mondiale. Ancora una volta, come è accaduto in Iraq, in Ucraina e in altri scenari, l’Europa vedrà condizionate le sue decisioni da spinte esterne: americani e cinesi faranno di tutto per salvare l’euro. Ma sarà l’ulteriore dimostrazione che l’Europa ha perso la sovranità su se stessa».
Lei ha avuto di recente incontri al massimo livello in Cina: sono davvero così preoccupati anche loro?
«Sì ed è una preoccupazione che ho riscontrato in tutti gli incontri ufficiali che ho avuto. Loro, proponendosi come potenza ascendente e pur restando affascinati dagli Stati Uniti, sono interessati alla formazione di contrappesi al dollaro e sono convinti che l’euro sia di aiuto nel loro cammino».
Le premesse della crisi greca si consumarono durante la sua presidenza della Commissione europea?
«Ricordo la notte nella quale chiesi a Francia e Germania di rispettare i parametri e loro risposero no, accampando le loro prerogative nazionali. E quando dissi che sarebbe stato utile istituire una sorta di Corte dei Conti europea risposero che era una spesa inutile. La Grecia è entrata nell’euro perché ha potuto ingannare vergognosamente sui dati reali della propria economia».
Morale di quella storia?
«Se ci fosse stata una forte autorità federale, probabilmente Atene non sarebbe mai entrata nell’unione monetaria, o sarebbe entrata ad altre condizioni. Invece noi non abbiamo voluto un’autorità federale. Abbiamo delegato ogni potere ai leader nazionali, che sono ostaggi dei loro problemi di politica interna».
Lei in tempi non sospetti parlò di stupidità dei parametri stabiliti una volta per tutte a Maastricht: è giunto il tempo di cambiarli?
«Quando li definii stupidi, in tanti mi saltarono addosso, ora ricevo continui riconoscimenti internazionali per quella affermazione. Ma ricordo con piacere quel che mi disse allora Helmut Kohl: dovresti ricordare che Roma non è stata fatta in un giorno, ora consolidiamo l’euro. Un grande leader che stava dentro un disegno politico».
Dice il premio Nobel Paul Krugman che l’euro è una camicia di forza da allentare: condivide?
«Se l’Europa non si autoriforma è un pane cotto a metà e se non c’è intenzione di cuocerlo tutto, avrebbe ragione Krugman. Ma la risposta ora è nelle mani della Germania. Non resta che sperare che non diventi profezia, la speranza a suo tempo espressa da Joschka Fischer: “La Germania non affondi l’Europa, sarebbe la terza volta in cent’anni”».
Tutte le colpe sempre della Germania?
«Alla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti divenuti potenza mondiale, misero a punto il piano Marshall, senza preoccuparsi come l’Italia spendeva quei fondi. La Germania è un paese che è leader, per le sue virtù, ma non lo vuole riconoscere, rendendosi conto della convenienza globale e coinvolgere tutti».
Oltre a restituire un’Europa impotente, non trova che in questa stagione abbiano assunto un peso sproporzionato istituzioni non politiche?
«Certamente sì. Che cosa c’entra la troika in questa faccenda? Che cosa c’entra il Fondo monetario internazionale che interviene nella comunità più ricca del mondo, quale è ancora l’Europa? Decisivo è stato il ruolo svolto per evitare il disastro dalla Bce, che però non ha un ruolo politico».
La settimana che ha preceduto il referendum ha mandato in scena l’impotenza europea?
«La settimana che abbiamo alle spalle è significativa, perché, appena il presidente francese Hollande ha accennato ad una possibile trattativa allo scopo di sdrammatizzare il referendum, i tedeschi hanno concluso che non era il caso di parlare con i greci se non dopo i risultati. A quel punto nessun altro leader ha più aperto bocca».