La Stampa 16.7.15
Al “contabile” di Auschwitz quattro anni per 300 mila morti
Condannato in Germania l’ex SS Gröning: “Era lì di sua scelta”
di Tonia Mastrobuoni
Il male non è mai banale. Non importa che Oskar Gröning sia stato un «povero, piccolo sottufficiale», ignaro di tante cose che accadevano ad Auschwitz, come ha dichiarato durante il processo. È colpevole. Il tribunale di Lüneburg lo ha condannato ieri a quattro anni di carcere per concorso nell’omicidio di 300 mila persone. È più di quanto aveva chiesto l’accusa, tre anni e mezzo. Anche se era solo una «ruota nell’ingranaggio», il 94enne ex SS è considerato complice dello sterminio. Tuttavia, non è ancora chiaro se le sue precarie condizioni di salute gli consentiranno di scontare la pena in carcere: saranno i magistrati a deciderlo.
La difesa aveva chiesto l’assoluzione per il «contabile di Auschwitz», come è stato battezzato, perché il suo lavoro consisteva «solo» nello smistamento dei soldi e dei beni dei prigionieri che arrivavano nel campo. Ma i giudici hanno respinto l’idea che per questo motivo non si fosse reso corresponsabile delle atrocità dei nazisti. Lo stesso Gröning, all’avvio del processo, ha detto che «non c’è dubbio che moralmente sono stato complice» delle uccisioni di massa. E nelle udienze si era scusato più volte, si era detto «pentito». Tuttavia, nel corso degli interrogatori, ha ammesso di «non riuscirsi ad immaginare» che un ebreo potesse mai uscire vivo dalla più atroce fabbrica di morte dei nazisti. Ha ammesso anche che all’epoca pensava che «se gli ebrei sono i nemici, è normale che in guerra vengano uccisi».
Come ha spiegato il giudice Franz Kompisch nelle sue motivazioni della sentenza, Gröning ha scelto consapevolmente di lavorare nel campo di sterminio. Auschwitz era «una macchina dedicata nel suo insieme all’uccisione di esseri umani». Ecco perché la sentenza di colpevolezza. Del resto, alcuni sopravvissuti che hanno testimoniato al processo non lo ritenevano affatto innocente.
Sopravvissuta lo perdona
Eva Pusztai-Fahidi, arrivata nel 1944 con la famiglia dopo giorni di viaggio infernali, ha perso 49 famigliari nei campi di concentramento e di sterminio, tra cui i genitori e una sorella: «un ufficiale delle SS ad Auschwitz era più potente di dio in terra», ha raccontato.
Durante le udienze non sono mancati i colpi di scena. Una sopravvissuta dei campi, Eva Kor, ha stretto due volte la mano all’imputato, sottolineando che «il mio perdono non lo assolve affatto dalle sue colpe». Ma «nel nome di 49 testimoni», gli avvocati Cornelius Nestler e Thomas Walther das Verhalten hanno condannato il suo gesto. Del resto, Gröning stesso ha ammesso di aver assistito a delle atrocità e di aver chiesto la prima volta un trasferimento quando vide un ufficiale delle SS ammazzare un neonato sbattendolo contro un camion per farlo smettere di piangere.
Una delle ultime testimonianze del processo è stata quella di Irene Weiss, che oggi vive in Virginia, negli Stati Uniti. Nel 1944 aveva 13 anni. Arrivò ad Auschwitz dall’Ungheria, pressata con 80 persone in un vagone per il bestiame. La sua famiglia fu sterminata. Lei sopravvisse perché fu incaricata di smistare gli effetti personali in una stanza accanto alle camere a gas. Notte e giorno fu costretta ad ascoltare le grida atroci dei condannati a morte. Durante il processo, ha guardato Gröning negli occhi e gli ha detto: «Che lei non si consideri un esecutore ma una ruota nell’ingranaggio, per me non fa differenza. Se sedesse qui, nella sua uniforme da SS, io tremerei, e tutto l’orrore che ho vissuto a 13 anni sarebbe di nuovo qui». Quell’uniforme, ha aggiunto, «è per me un simbolo di quanto in basso possa sprofondare il genere umano».