martedì 7 luglio 2015

Il Sole 7.7.15
Iran, stretta finale sull’accordo
Trattative a oltranza a Vienna per arrivare nei prossimi giorni al compromesso sul nucleare
Necessità reciproche: la prima ha bisogno di un allleato anti-Isis, la seconda vuole uscire dall’isolamento
di Alberto Negri


Il mondo, nel bene o nel male, può cambiare in questa torrida estate, dalla Grecia all’Iran. Se Bruxelles aspetta che Atene faccia la prima mossa per capire se vuole restare ancora agganciata all’Unione, al Palais Coburg di Vienna ieri si trattava a oltranza per raggiungere l’accordo sul nucleare tra il Cinque più Uno e l’Iran. Perché ormai anche il pubblico meno addentro alla geopolitica ha capito che un’intesa con l’Iran va ben oltre questo negoziato e modifica il quadro del Medio Oriente, con il ritorno a pieno titolo sulla scena internazionale di una potenza non araba, portabandiera dell’Islam sciita, rivale dell’Arabia Saudita, il bastione del sunnismo, e considerata da Israele una sorta di nemico esistenziale.
Come per la Grecia anche per l’Iran niente è sicuro ma il compromesso è possibile perché i dati della questione non sono cambiati: Teheran ha bisogno della cancellazione delle sanzioni che soffocano la sua economia mentre gli Stati Uniti e l’Occidente hanno bisogno dell’Iran per affrontare le guerre mediorientali ed evitare di mandare i loro soldati di nuovo sul fronte. Il negoziato ieri è stato impostato non sulle singole questioni ma su un pacchetto di nodi da risolvere: dalle sanzioni alle ispezioni nei siti militari di Teheran, al dossier del riarmo iraniano e dei missili balistici. «Chi cede su un punto deve avere la sensazione di guadagnare da un altro», ha dichiarato una fonte della diplomazia europea che qui a Vienna sembra funzionare meglio che con Atene.
Razionalità e ottimismo fanno pensare che questa doppia necessità politica, iraniana e americana, dovrebbe facilitare un accordo. Oltre a una scadenza ineludibile: i diplomatici americani vogliono un’intesa entro domani al massimo, consapevoli che va presentata al Congresso prima di giovedì in modo da evitare lo stop di due mesi delle attività parlamentari che lascerebbe troppo margine ai falchi, contrari all’accordo, per disfarla. Se gli Stati Uniti dovessero riuscire a concluderlo, l’attenzione si sposterebbe subito sul Congresso, che ha la facoltà di bocciare l’intesa entro 30 giorni a patto che l’accordo sia firmato entro giovedì 9 luglio. Se è vero che Obama può mettere il veto e aggirare un’eventuale opposizione del Congresso, anche solo il tentativo di bloccarlo potrebbe indurre l'Iran e le altre nazioni del Cinque più Uno a mettere in dubbio l’impegno degli Stati Uniti a rispettarlo. Per questo il tempo stringe e i negoziatori ieri si erano chiusi in conclave.
Nonostante la matrice religiosa del regime degli ayatollah, la repubblica islamica nei momenti decisivi ha sempre mostrato di preferire il pragmatismo all’ideologia. E questa volta la posta in gioco è fondamentale: la trattativa, in ogni caso, avrà conseguenze rilevanti per la stabilità del Medio Oriente, nella lotta al Califfato e negli equilibri di potenza regionali tra Teheran, l’Arabia Saudita, Israele e la Turchia. In un momento drammatico in cui nel Levante arabo si disgregano stati come Siria, Iraq, Yemen, e nel Nordafrica si moltiplicano gli attentati ispirati dall’Isis, l’Iran sciita e i suoi alleati, dagli Hezbollah a Bashar Assad, al governo di Baghdad, sono insieme ai curdi i maggiori nemici sul campo dei jihadisti sunniti: è da un’eventuale intesa a Vienna che l’Occidente può cominciare a sciogliere il rebus mediorientale.
La firma di un accordo significa per Teheran, negli ultimi decenni bastione anti-occidentale e anti-americano, il ritorno come protagonista ineludibile della scena internazionale; così come la possibile fine dell’embargo e delle sanzioni comporta effetti economici rilevanti sia per l’economia di Teheran che per i partner occidentali. Se la crisi ellenica deprime i mercati, l’Iran potrebbe rilanciare in grande stile le esportazioni energetiche di un Paese al quarto posto mondiale per le riserve di oro nero e al secondo per il gas.
Un’intesa a Vienna potrebbe portare nell’arco di un anno nelle casse di Teheran una cifra tra i 100 e i 150 miliardi di dollari. Aspettative importanti per gli investimenti delle major internazionali corse a Teheran a riaprire la competizione per i contratti su un mercato lasciato ai colossi asiatici come la Cina o l’India che non hanno mai osservato le sanzioni occidentali, americane ed europee, e forse neppure quelle delle Nazioni Unite. Anche per i motivi economici e di sopravvivenza al potere, oltre che strategici, l’ala dura del regime iraniano - i militari e i Pasdaran - potrebbe dare il via libera a un accordo. A Vienna, nel Gotha di Palais Coburg, si è diffusa la netta sensazione tra gli europei, depressi e preoccupati dalla crisi ellenica, che l’Iran da una minaccia può trasformarsi in un’opportunità, politica e d’affari. Anche così cambia il modo di vedere il mondo.