martedì 7 luglio 2015

Corriere 7.7.15
L’anticristo prima di Gesù
La figura che incarna il male assoluto compare nelle tradizioni più remote
di Paolo Mieli


Attorno alla metà del XIII secolo a Francoforte sull’Oder, tra Berlino e la frontiera della Germania con la Polonia, fu costruita la chiesa di Santa Maria che, dal 1370, ebbe una particolarità: i fedeli che alzavano gli occhi verso destra alle spalle dell’altare potevano ammirare dipinta su vetro la storia dell’Anticristo. «Probabilmente non lo sapevano, ma stavano godendo di un privilegio unico», scrive Marco Rizzi nell’avvincente A nticristo. L’inizio della fine del mondo , di imminente pubblicazione per i tipi del Mulino. Perché unico? Vetrate di quel genere certo non mancavano nelle chiese dell’epoca. Anzi, sottolinea Rizzi, rappresentavano uno dei tratti distintivi dello stile gotico che si era diffuso in tutta l’Europa a partire dal XII secolo. Fedeli alle indicazioni di Papa Gregorio Magno, gli architetti e gli artisti avevano sostituito con vetri colorati gli affreschi e i mosaici fino ad allora utilizzati per dar vita ad una «Bibbia dei poveri», vale a dire le immagini che illustravano episodi salienti dell’Antico e del Nuovo Testamento. Immagini che, da sinistra verso destra, raccontavano ai più, che non sapevano leggere e scrivere, la storia dei capitoli della fede: creazione, redenzione, giudizio. Ma dell’Anticristo non si parlava mai. O quasi. E invece nella chiesa di Francoforte ben 35 raffigurazioni furono riservate all’Anticristo, così come era stato raccontato dall’abate Adsone del monastero di Montier-en-Der (967) alla regina Gerberga, sorella di Ottone I e moglie di Luigi IV d’Oltremare, nel celeberrimo Libellus de Antichristo .
Si trattava dei «falsi miracoli del figlio della perdizione», che «trasforma le pietre in pane per sfamare i suoi seguaci», fa «scendere il fuoco dal cielo e risorgere i morti», regala «ingenti quantità di oro» (alla «distribuzione fraudolenta della ricchezza» vengono dedicati nella chiesa ben quattro riquadri). Nelle vetrate, l’Anticristo predica due volte. La prima nel tempio, la seconda di fronte a una croce rovesciata. In entrambe le situazioni, nota Rizzi, tra gli ascoltatori che portano sulla fronte il segno della perdizione compare anche un ebreo, riconoscibile dal caratteristico cappello a punta; in un altro riquadro, un gruppo di ebrei attende qualcuno o qualcosa sulle rive di un fiume; un ebreo infine è presente nella scena in cui alcuni fedeli pregano dinanzi al crocefisso, «forse per indicare la conversione del popolo ebraico che deve precedere il ritorno di Cristo». In ogni caso, ove mai ci fossero, «gli accenti polemici non sembrano particolarmente evidenti, dato che gli ebrei non compaiono nelle scene che illustrano le persecuzioni dell’Anticristo contro i cristiani». E questo è un elemento di non scarso rilievo.
Ma torniamo alle origini dell’Anticristo, rifacendoci anche a quel che ne scrissero alla fine dell’Ottocento Wilhelm Bousset e Hermann Gunkel in libri che da noi non sono mai stati tradotti, un secolo dopo Bernard McGinn nel celeberrimo L’Anticristo. Duemila anni di fascinazione del male (Corbaccio) e, in tempi più recenti, lo stesso Rizzi e Gian Luca Potestà nei due straordinari volumi antologici intitolati Il nemico dei tempi finali e Il Figlio della perdizione , editi dalla Fondazione Valla/Mondadori. Scopo del nuovo saggio di Rizzi è quello di «mostrare come sono nate riflessioni e preoccupazioni che nell’Europa secolarizzata di oggi possono apparire farneticanti, ma che per lungo tempo hanno costituito paure e speranze vive e pulsanti nel cuore della vita e per alcuni lo sono tuttora».
Per quanto possa sembrare bizzarro, la figura dell’Anticristo compare secoli e secoli prima della stessa nascita di Cristo. Ovviamente senza prendere quel nome che verrà definito in ogni suo fondamentale aspetto da Ireneo, vescovo di Lione vissuto nella seconda metà del II secolo («nel pieno di un grandioso conflitto ideologico dottrinale consumatosi tra cristiani, ebrei e altri gruppi religiosi»). Rappresenta, nell’antichità, il male assoluto che «si manifesterà in tutta la sua malvagità alla fine dei tempi, ingaggiando l’ultima e più drammatica battaglia per impedire la redenzione del mondo». Per la prima volta in mitologie mesopotamiche «che raccontano di una bestia apocalittica, drago o serpente», impegnata in questo scontro finale tra il bene e il male. Nell’Antico Testamento ne parlano i profeti Daniele ed Elia, che descrivono i «tempi terribili in cui i giusti saranno perseguitati e uccisi da serpenti e altre bestie spaventose, un po’ leoni un po’ leopardi, un po’ aquile dagli artigli di ferro». A ridosso della nascita di Cristo «le sue tracce si manifestano in scritti ebraici non compresi nel canone biblico, i cosiddetti apocrifi veterotestamentari»; infine «alcuni passi dei Vangeli dell’Apocalisse e di altri scritti del Nuovo Testamento ne rivelano appieno il volto e l’ultimo nome, Anticristo appunto».
Va notato che «dalle Lettere di Giovanni, dove la parola compare per la prima volta, è assente ogni dimensione di violenza, persecuzione, morte, insomma l’immaginario sanguinolento che costituisce la caratteristica propria dell’Anticristo nelle sue rappresentazioni successive e in quelle (presunte) precedenti». È di Giovanni l’individuazione del «suo» numero: 666. Con quella cifra, «ricapitolerà in sé tutto il male avvenuto sino ad allora, giacché Noè aveva seicento anni quando venne il diluvio a distruggere tutti gli esseri viventi, dopodiché si diffuse l’idolatria e vennero perseguitati e uccisi i giusti, come indica la statua alta sessanta cubiti e larga sei innalzata da Nabucodonosor», che i tre fanciulli Anania, Azaria e Misaele si rifiutarono di adorare, cosa per cui, racconta Daniele, vennero gettati nel fuoco. Fin da allora «costituisce la rappresentazione del male assoluto, una paura proveniente dall’oscurità più remota del mondo, da individuare e da esorcizzare». Poi compare in maniera definitiva nella seconda lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica. E qui è centrale il tema dell’inganno, di quell’entità che oserà «sedersi nel tempio di Dio, mostrandosi come fosse Dio», in modo da indurre i fedeli in errore. Finché «verrà svelato l’iniquo» e il Signore lo «distruggerà con il soffio della sua bocca».
Un altro vescovo, a seguito di Ireneo, aveva pubblicato un manuale per riconoscere l’Anticristo: Ippolito, di cui si sa appena che visse a cavallo tra il II e il III secolo dopo Cristo. Ippolito aveva confermato che l’Anticristo si sarebbe comportato «come un falso messia, un arnese del Diavolo, richiamando a sé tutto il popolo d’Israele da ogni terra in cui ormai vaga disperso, trattandolo come se fosse quello dei suoi figli, promettendo di ricollocarlo nella sua terra e di ricostruire il regno e il tempio di Gerusalemme, per essere adorato come un dio, secondo le parole dei profeti». L’Anticristo «chiamerà a sé l’intera umanità promettendole la salvezza, mentre non sarà in grado di salvare neppure se stesso, quando tornerà il Signore per cancellarlo con il soffio della sua bocca». All’inizio «per perseguitare i cristiani, l’Anticristo raccoglierà intorno a sé il popolo che sempre è stato infedele a Dio: gli ebrei. Dopo aver respinto la verità, dapprima trasgredendo la legge di Mosè, poi uccidendo i profeti, crocifiggendo lo stesso Gesù, perseguitando i suoi apostoli, persistendo nell’odio verso Dio, si sottometteranno infine ad un uomo mortale, illudendosi di poter aver giustizia da lui, che si rivelerà invece giudice iniquo».
Verrà poi un’epoca in cui l’Anticristo sarà identificato con Nerone (da Commodiano e da Vittorino ad esempio). Pochi anni dopo l’impero verrà riabilitato (da Lattanzio) ai tempi di Costantino. Trascorrerà meno di un secolo allorché Ambrogio (340-397), quando i Goti sconfiggeranno l’esercito romano e uccideranno l’imperatore Valente (378), identificherà quei barbari con Gog e Magog, i misteriosi popoli che avrebbero dovuto affiancare l’Anticristo nella persecuzione finale contro i cristiani. Ma Girolamo (347-420) prenderà le distanze da quel giudizio. Quando poi Roma verrà saccheggiata dai Visigoti di Alarico (410), saranno in molti a intravedere la spaventosa figura all’origine di quell’episodio.
E qui siamo al centro della questione ebrei e Anticristo. Seguendo l’insegnamento di Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi, Girolamo pensava che Dio avrebbe inviato infine agli ebrei l’«operatore della menzogna e la fonte stessa dell’errore», perché non avevano voluto «accogliere la carità e la verità portata da Gesù», che sola avrebbe potuto salvarli. Se «almeno l’Anticristo fosse nato da una vergine e fosse venuto al mondo prima di Cristo», osservava Girolamo, «gli ebrei avrebbero avuto una scusa per dire che erano stati ingannati e, credendo si trattasse della verità, si erano fatti abbindolare dalla menzogna». Ora invece, dovevano «essere giudicati, anzi, senz’altro condannati» perché stavano per accogliere l’Anticristo, «dopo aver disprezzato la verità di Cristo». Agostino d’Ippona (354-430) «non era affatto convinto di questa complessa spiegazione, non solo perché Roma era caduta e nulla era cambiato nel popolo ebraico, che se ne rimaneva sconfitto e disperso, bensì perché il punto centrale della sua visione ruotava intorno alla Chiesa e all’invisibile confine che separava i veri credenti da quelli che “erano dentro, tra noi”, ma non erano “dei nostri”». Cristo, sosteneva Agostino, non verrà a giudicare i vivi e i morti prima che il suo avversario non sia venuto a sedurre quelli che sono morti nell’anima.
Il tema dell’Anticristo si riproporrà potentemente a ridosso dell’anno Mille e di quella riproposizione troveremo traccia sulle vetrate della chiesa di Santa Maria a Francoforte sull’Oder, delle quali abbiamo parlato all’inizio. Tornerà ancora prepotentemente all’inizio del Cinquecento al momento della Riforma protestante. Scriverà Martin Lutero all’amico Venceslao Link: «Ti metto a parte delle mie fantasie, perché tu veda se ho ragione a presagire che l’Anticristo, quello vero minacciato da Paolo, domina nella curia di Roma; oggi come oggi, penso di poter dimostrare che Roma è peggio dei turchi». Ed «esecrabile bolla dell’Anticristo» verrà definita da Lutero quella emessa il 15 giugno 1520 da Papa Leone X per imporgli di ritrattare alcune delle sue 95 tesi di Wittenberg. Nel 1563 appare il Libro dei martiri di John Foxe, che colloca in Inghilterra il luogo esatto dove si consumerà la «battaglia decisiva dell’ininterrotta guerra in atto tra Cristo e Anticristo». Dall’America Latina Francisco de la Cruz, condannato a morte come eretico nel 1578, annunciò «l’imminente castigo dell’Europa ad opera dei turchi, che costringeranno i cristiani a rifugiarsi nel nuovo mondo, più precisamente in Perù, la cui capitale, Lima, sarà la nuova Gerusalemme». Ai tempi della Rivoluzione inglese, nel 1649, per giustificare la condanna a morte di Carlo I, William Aspinwall disse che quel sovrano era «il piccolo corno della bestia del settimo capitolo del libro di Daniele» (ma Oliver Cromwell prese le distanze da quella forma di radicalismo apocalittico). Nel 1793, David Austin in La caduta della Babilonia mistica identificò negli Stati Uniti, da poco indipendenti, «la pietra staccatasi dalla montagna che nel libro di Daniele mette in moto il crollo della statua di Nabucodonosor» e previde che Cristo, tornato sulla terra, avrebbe instaurato il suo regno in quel Paese «portatore di libertà nonché di giustizia civile e religiosa».
Nel Novecento ci si interrogò ancora se l’Anticristo fosse Mussolini (il dubbio fu posto nel 1927 da Oswald J. Smith) o Adolf Hitler. Ci pensò Dietrich Bonhoeffer (che sarà impiccato per complicità nell’attentato a Hitler del luglio 1944) a sgombrare il campo da quelle supposizioni. Ma Hitler ebbe in ogni caso a che fare con l’Anticristo. Allorché nel corso della Seconda guerra mondiale le cose per lui cominciarono a mettersi male, diede ordine di smontare, imballare e trasferire a Potsdam le vetrate di Santa Maria a Francoforte, di cui abbiamo parlato all’inizio. Temeva, a ragione, che potessero essere danneggiate dall’offensiva russa sull’Oder, che in effetti avrebbe distrutto la città e la chiesa. Non era la prima volta che ciò avveniva. Già nel 1830 l’architetto, pittore, urbanista Karl Friedrich Schinkel era stato autorizzato a smontare i riquadri delle vetrate e nel restauro andarono persi otto pannelli. Adesso però le cose andarono ancora peggio. Quando i russi entrarono a Berlino da vincitori, ottennero che le vetrate, messe in salvo a Potsdam, fossero considerate parte della compensazione per i danni subiti dalla Germania e trasferite all’Ermitage di Leningrado (oggi San Pietroburgo). Poi però, crollato nel 1989 il Muro di Berlino, esse furono restituite alla Germania riunificata. Nel 2002 tornarono a casa i primi 111 pannelli. E la Marienkirche, i cui lavori di ricostruzione erano già iniziati negli anni Settanta, poté tornare all’aspetto di sette secoli prima. Mancavano, è vero, sei pannelli che si credevano perduti per sempre. «Questa ultima resistenza dell’Anticristo», scrive Marco Rizzi, «fu infine sconfitta nel 2005, quando vennero rinvenuti poco fuori Mosca in un deposito del Museo Puškin». Che il luogo del ritrovamento fosse in origine un monastero, sottolinea Rizzi, «permette di aggiungere un’altra pagina al ricco capitolo dei rapporti tra i monaci e l’Anticristo». Ma anche a quelli tra l’Anticristo e il Novecento.