mercoledì 15 luglio 2015

Il Sole 15.7.15
Maxi Opa cinese da 23 miliardi sui chip
In ballo c’è il più grande take over di sempre su un gruppo Usa da parte di un’azienda cinese
di Stefania Spatti


Da Tsinghua un’offerta per l’americana Micron - Le perplessità dei regulator
La Cina riaccende il consolidamento nel settore dei semiconduttori. Tsinghua Unigroup - controllata da Pechino e protagonista sul piano domestico del comparto di riferimento - è interessata all’americana Micron Technology. Il gruppo asiatico è disposto a spendere 23 miliardi di dollari per portare a casa quello che nel 2014 è stato il quarto produttore mondiale di chip in termini di ricavi. Se l’operazione andasse in porto, sarebbe il più grande takeover di un gruppo statunitense da parte di un’azienda cinese. Il precedente record è quello di Shuanghui International Holdings, il gruppo specializzato nella lavorazione della carne che nel 2013 acquistò Smithfield Food per 7,1 miliardi di dollari. Sarebbe anche l’ultimo di una serie di mega merger nel comparto dei chip: a marzo NXP ha siglato un’intesa per comprare Freescale per 11,8 miliardi di dollari, Avago Technologies ha poi raggiunto un accordo da 37 miliardi con Broadcom e successivamente Intel ha rilevato Altera per 16,7 miliardi.
Tsinghua è pronto a mettere sul piatto 21 dollari per ogni azione Micron, un premio del 19,3% rispetto alla chiusura del titolo di lunedì, quando aveva finito gli scambi in rialzo dello 0,2% a 17,61 dollari. In seguito alle indiscrezioni del Wall Street Journal, il titolo ieri è stato protagonista di un rally a doppia cifra ma va ricordato che ha perso quasi la metà del suo valore da inizio anno.
Le avance in arrivo da Pechino, sono destinate a fare i conti con due ostacoli: il prezzo e il via libera delle autorità Usa. Sul primo piano, gli analisti danno per scontato che gli adviser di Micron spingano per ottenere un’offerta più alta. Sul secondo fronte, l’operazione di M&A potrebbe finire sul tavolo dalla Commissione per gli investimenti stranieri negli Stati Uniti, un panel composto da rappresentanti di oltre una decina di dipartimenti e agenzie governative Usa. Il suo compito è stabilire se un’acquisizione - o un investimento - straniero ponga minacce alla sicurezza nazionale. Se sì, il panel può bloccare l’operazione.
La questione non è da poco. I regolatori temono che la vendita di Micron tolga agli Usa la produzione significativa di una componente chiave usata nei pc, negli smartphone e in altri dispositici elettronici. Inoltre, dietro la mossa di Tsinghua c’è la chiara volontà del governo cinese di aumentare la produzione domestica di microprocessori, per altro usati anche nel settore della difesa.
Di certo, l’azienda cinese - che lo scorso maggio ha siglato un accordo con Hewlett-Packard per prendere il controllo delle sue attività di data-networking in Cina per 2,3 miliardi di dollari - può sfruttare due elementi: ha la possibilità di contare sulle casse dello Stato per finanziare l’acquisizione in un comparto considerato strategico e sa come muoversi negli Usa avendo acquisito due aziende (Spreadtrum Communications e RDA Microelectronics) un tempo quotate proprio sui listini americani. E poi vanta legami con la Silicon Valley, dove ha siglato un’alleanza strategica con Intel per dare al produttore di chip il 20% del suo capitale in cambio di 1,5 miliardi.