Il Sole 13.7.15
Regole dubbie. Basta il voto contrario di un ministro per bocciare le decisioni, ma l’interpretazione del Trattato è forzata
L’«unanimità abusiva» che blocca l’Eurozona
di Giuseppe Chiellino
A furia di rinvii e di indecisioni l’Eurozona è arrivata al momento cruciale – il fallimento di un suo Stato membro – nell’incapacità di decidere, bloccata da un intreccio barocco di regole che, tra pieghe e ghirigori, permette ad un solo Paese, grande o piccolo che sia, di mettersi di traverso e impedire qualsiasi passo avanti.
È quello che da anni accade nei negoziati con la Grecia e che ieri è andato di nuovo in scena, quando i ministri delle Finanze hanno consegnato il documento scaturito dall’Eurogruppo ai rispettivi premier riuniti nell’EuroSummit. Era difficile immaginare che l’Unione monetaria potesse arrivare a un livello tale di confusione.
Il nodo è (anche) nelle regole. Per prassi consolidata l’Eurogruppo decide “per consenso”, cioè all’unanimità. Se anche un solo ministro di qualsiasi Paese non è d’accordo, salta tutto. A sostegno di questa interpretazione si porta il fatto che l’Eurogruppo è una formazione “informale” del Consiglio, come avevano imposto a suo tempo i Paesi non-Euro, preoccupati, a cominciare dal Regno Unito, di scongiurare il rischio che acquisisse una personalità istituzionale autonoma rispetto alle altre istituzioni europee.
Ma la regola dell’unanimità non è scritta da nessuna parte. Anzi, il Trattato di Lisbona, all’articolo 16, prevede che il Consiglio europeo, in qualsiasi formazione, «delibera a maggioranza qualificata, salvo che i trattati dispongano diversamente». Se in questi anni di negoziati con la Grecia fosse stata applicata la regola generale, molte cose sarebbero andate diversamente e probabilmente i “falchi” si sarebbero trovati più volte in minoranza. Peraltro, e questo appare paradossale, nello stesso Protocollo che istituisce l’Eurogruppo, è scritto che i ministri degli Stati membri eleggono un presidente semplicemente a maggioranza.
Negli anni scorsi questa interpretazione ha portato più volte ad accese discussioni in seno alle istituzioni comunitarie, sino a far parlare di «unanimità abusiva» chi si oppone a questa lettura. Il ragionamento è questo: o si assume che non decide nulla, oppure si prende atto che l’Eurogruppo da quando esiste decide eccome, anche se poi le sue delibere vengono ratificate senza modifiche dell’Ecofin (cioè dai ministri delle Finanze di tutti gli stati Ue e non solo dell’euro). Nel secondo caso, è la tesi, deve seguire la regola generale e decidere a maggioranza qualificata.
A una lettura superficiale, la questione potrebbe sembrare una raffinata questione per giuristi. Ma nella pratica è quel granello di sabbia che, piazzato nell’ingranaggio da zelanti – questi sì – euroburocrati, è in grado di mandare in tilt un delicato meccanismo.
Come se ce ne fosse bisogno, visto che c’è già un’altra grave falla: non aver previsto alcuna regola per gestire in modo ordinato il default di un Paese membro, al pari di quanto avviene per il fallimento di un’impresa in tutti gli ordinamenti moderni. Tanto che adesso, nelle varie ipotesi di uscita o sospensione della Grecia dall’Uem si è dovuto far ricorso alla “clausola di flessibilità” prevista dall’articolo 352 del Trattato, adattandola a circostanze che non erano state previste (ma che erano prevedibili). Di questo avrebbe dovuto discutere il Consiglio europeo che il presidente Donald Tusk aveva convocato per ieri ma che ha cancellato dopo che il Governo greco era riuscito a far passare in Parlamento il piano per l’accordo con la Troika. Il 352 prevede che «se un’azione appare necessaria per realizzare obiettivi stabiliti dai Trattati, senza che questi abbiano previsto i poteri d'azione da parte dell’Unione, il Consiglio dei ministri può deliberare all’unanimità, su proposta della Commissione e dopo l’approvazione del Parlamento europeo». L’escamotage potrebbe servire sia per l’uscita della Grecia dall’euro, sia per la sua sospensione. Ma il risultato di una iniziativa del genere non è così scontato: in Consiglio sarebbe necessaria l’unanimità e - per il momento - è scontato che mancherebbe almeno il voto di Atene. Le incongurenze non si fermano qui: in Consiglio votano anche Paesi che sono fuori dall’area euro. E in ogni caso, la discussione dimostra che prevale sempre di più la logica intergovernativa rispetto a quella comunitaria.
Le circostanze degli ultimi mesi spesso sono state semplificate dicendo che la Grecia stava bloccando l’Europa. Ieri è sembrato che fosse più la Germania a impedire una svolta, con condizioni che a una prima lettura appaiono umilianti anche per un Paese che ce l’ha messa tutta per cacciarsi in un vicolo cieco. In realtà la sensazione è che sia l’Europa, con le sue architetture troppo complesse, a bloccare se stessa.