venerdì 10 luglio 2015

Il Sole 10.7.15
Borsa cinese, il pugno dello Stato ferma il mercato
di Rita Fatiguso


Ha vinto (per ora) lo Stato e non il mercato. Ci stava provando, la Cina, a darsi regole borsistiche in linea con le civiltà finanziarie occidentali più evolute.
Poi, il grande crollo dei listini tra giugno e luglio ha raffreddato gli animi e costretto Pechino, ancora una volta, a usare il pugno di ferro e a sfoderare tutte le armi tipiche del dirigismo centralistico.
Immaginiamo, al di là della volontà dei vertici, anch’essi presi in contropiede da un simile andazzo. L’imperativo era uno solo: salvare le Borse.
Così come tutte le volte che il sistema ha rischiato il credit crunch il governatore della People’s bank of China è sempre stato pronto a inondare di liquidità il mercato facendo leva sui Repo.
Ma questa volta la Cina ha subito i contraccolpi di un fenomeno tipico delle Borse occidentali reagendo però alla sua maniera. L’allerta resta alta. Intanto non è certo quando la bolla sarà effettivamente espulsa dal mercato, gli investitori restano storditi, c’è chi si è rivisto restituire i soldi delle Ipo già anticipati, ci sono aziende condanante a comprare e a tenere azioni.
È il fallimento delle dinamiche naturali di Borsa e del mercato, con la metà dei listini fuori uso a causa del panico da vendite.
Perfino il taglio dei tassi che doveva liberare risorse per consentire l’accesso delle aziende più piccole ai finanziamenti si è rivelato un boomerang, il denaro a basso costo ha alimentato soltanto la speculazione con un effetto chiaramente tipico dello spillover.
Sul campo ci sono morti e feriti a cui pensare: gli enti locali per i quali si era finalmente riaperta la strada dei local bond, dopo un digiuno che risaliva alla legge di bilancio del 1994, chi mai comprerà quei bond? 15 trilioni di debiti riconosciuti come tali e messi sul mercato proprio per trovare nuove forze e riparare ai debiti. Le Ipo, mesi e mesi di trattative per rimetterle sui binari (erano state sospese per speculazioni oltre due anni fa, per poi riprendere a far capolino in Borsa in sordina), ma adesso nessuno è più convinto che sbarcare in Borsa sia la soluzione giusta. E le riforme delle State owned enterprises? C’è da immaginare che con questi obblighi e divieti siano sempre più lontane dalla privatizzazione.
Chi finanzierà oggi le piccole e medie imprese strangolate da debiti e dalla catena dei prestiti che si è spezzata? E i tanto decantati consumi interni? La situazione è molto difficile, come si può notare. E la ristrutturazione delle grandi banche? Può attendere, con questo clima.
Tutto passa in secondo piano. C’è ampia liquidità, il potere centrale funziona. Insomma, le forze di mercato possono attendere.