domenica 5 luglio 2015

Corriere Salute 5.7.15
Nella vulnerabilità alla patologia la genetica ha un ruolo importante
di D. d. D


La depressione tende a ricorrere nelle famiglie, anche se talora sono colpite persone che non hanno una storia di depressione in casa. «Gli studi sui gemelli mostrano un livello di ereditarietà fino al 50 per cento — dice il dottor Marc Fakhoury, del Department of neuroscience dell’University of Montreal, nel Quebec, autore di una revisione sulla neurobiologia della depressione, pubblicata sulla rivista General Hospital Psychiatry —. E gli studi familiari indicano un aumento di rischio di 2-3 volte tra i parenti di primo grado di chi soffre di depressione».
Ma nella grande maggioranza dei casi la genetica spiega solo la predisposizione alla depressione, sulla quale agiscono poi fattori ambientali, come lo stress e le esperienze traumatiche.
«In realtà, lo stress è la causa principale di una depressione maggiore — spiega Marc Fakhoury — e sembra far scattare questo disturbo in quasi ogni individuo dotato di un particolare set di geni che lo rendono più vulnerabile».
Probabilmente la predisposizione genetica agisce attraverso alterazioni a livello dei neuromediatori, sostanze che regolano la comunicazione tra i neuroni. Ad esempio, la serotonina, correlata al livello di ansietà e alla tendenza al comportamento ossessivo, la cui carenza è stata osservata in chi è depresso, a livello del tronco encefalico, la parte alta del midollo spinale.
Si sa che è coinvolta anche la noradrenalina, responsabile del livello di allerta, di ansia e di interesse verso la vita, così come la dopamina, un importante neuromediatore dal quale dipendono l’attenzione, la motivazione e il senso di ricompensa. Diversi studi indicano inoltre una ridotta presenza di tirosina, un precursore della dopamina, nel sangue e nel liquido spinale di persone depresse.
La più utilizzata categoria di antidepressivi, gli inibitori della ricaptazione della serotononina, i cosiddetti SSRI, come la paroxetina e il citalopram, agiscono incrementando proprio il livello extracellulare della serotonina, anche se oggi si sa che probabilmente la loro azione è più articolata e coinvolge complessi di recettori non del tutto conosciuti. La ricerca ha ancora molte scoperte da fare sui rapporti esistenti tra questi recettori e, ad esempio, la tendenza alle ricadute nella depressione.
«Possono essere coinvolti anche i fattori neurotrofici, — spiega ancora Fakhoury — una famiglia di proteine responsabile della crescita dei neuroni. Il cosiddetto brain-derived neurotrophic factor (fattore neurotrofico cerebrale, BDNF) è un esempio di fattore neurotrofico, ma ce ne sono altri, come l’ Insulin like growth factor (fattori di crescita insulino-simili, IGF), il Fibroblast growth factor (fattori di crescita dei fibroblasti, FGF) e il Vascular endothelial growth factor (fattore di crescita dell’endotelio vascolare,VEGF). Sono sostanze coinvolte nella plasticità delle reti neuronali e possono stimolare la nascita di nuovi neuroni nell’ippocampo». Quando l’equilibrio di queste sostanze è alterato, si manifesta una tendenza verso la depressione, e alcuni farmaci antidepressivi vanno a regolare anche il loro funzionamento.
Negli individui depressi le alterazioni cerebrali sono riscontrabili a livello macroscopico, come indicano gli studi realizzati con tecniche di visualizzazione cerebrale, ad esempio la Risonanza Magnetica. Sono state osservate riduzioni di volume dell’amigdala, un piccola struttura situata nella profondità del cervello e coinvolta nella gestione delle emozioni, ma anche una ridotta attività nella formazione di nuovi neuroni all’interno dell’ippocampo, strettamente correlato da un punto di vista funzionale con l’amigdala, oltre che coinvolto nei processi di memoria e apprendimento.