domenica 5 luglio 2015

Corriere Salute 5.7.15
Vera depressione o solo tristezza?
Essere demoralizzati non è una malattia
La reale patologia deve essere diagnosticata secondo precisi criteri. E nuovi studi indicano che la componente genetica ha un ruolo importante. Il problema che si sta presentando è però nella terapia: molti depressi non sono curati e molti non-depressi sono trattati ancora in modo inappropriato
di Danilo di Diodoro


Molte persone che si sentono da qualche tempo di umore depresso, privi di forze e di interessi e che dormono male, si chiedono: quand’è che uno stato depressivo diventa un vero disturbo psichico? Il tema è “caldo” anche fra gli esperti del settore, tant’è vero che di recente sulla rivista Acta Psychiatrica Scandinavica è stato dato ampio spazio al tema in un articolo intitolato Differentiating clinical and non-clinical depression a firma di Parker Paterson, della School of Psychiatry dell’University of New South Wales.
«Un’attenzione giustificata — conferma Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano —. Perché temporanei momenti di demoralizzazione e sconforto sono comuni a tutti, ma occasionali e di breve durata. Quando demoralizzazione e tristezza tendono ad accrescersi d’intensità, a perdurare nel tempo e a interferire con il funzionamento sociale, relazionale, affettivo, cognitivo e lavorativo, allora si può sconfinare in un disturbo psichico. Secondo il DSM-5 (il Manuale statistico diagnostico dell’American Psychiatric Association, ndr ) per parlare di vera depressione è necessario che siano presenti cinque o più sintomi contemporaneamente, di cui almeno uno costituito da umore depresso o perdita di interesse o della capacità di provare piacere in quello che si fa. Tali disturbi devono durare almeno due settimane ed essere presenti per buona parte del giorno; inoltre la persona deve “funzionare” meno bene rispetto a prima, per esempio in ambito lavorativo o familiare. Per quanto riguarda la gravità della depressione, si può immaginare l’esistenza di una scala da 1 a 10, dove 1 raffigura la demoralizzazione e 10 la depressione maggiore grave , passando per la depressione maggiore lieve e moderata . C’è poi una forma di depressione cosiddetta sottosoglia o non clinica o minore , termine che indica situazioni in cui sono presenti pochi sintomi, di minor intensità, e con circoscritto impatto sul funzionamento relazionale e sociale. Infine, c’è la cosiddetta distimia : quando l’umore è depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, per almeno due anni, con sintomi meno intensi rispetto alla depressione maggiore».
Un elemento che accumuna tutte le forme di depressione è la riduzione più o meno intensa di attenzione, concentrazione, memoria. Così la persona si sente meno capace di pensare, concentrarsi, prendere decisioni. «Ciò ha un significativo valore diagnostico, ma è anche importante in ambito prognostico, terapeutico e riabilitativo» specifica ancora Mencacci.
Pur con tutte queste distinzioni, la depressione è un fenomeno unitario, e le varie forme in cui si presenta sono espressione di diversa gravità. Aggiunge Mencacci: «Vanno considerate a parte forme di patologia depressiva caratterizzate da sintomatologia psicotica, come il delirio di rovina , o quelle che gli psichiatri definiscono di tipo melanconico ». L’uso del termine melanconico in questo caso differisce dall’uso corrente e indica la presenza di sintomi come la perdita totale del senso di piacere nella vita. «Queste forme vanno separate — spiega Mencacci — anche per la risposta ai trattamenti e per la prognosi, meno favorevole rispetto alla restante patologia depressiva».
Quando è opportuno chiedere aiuto al medico se ci sente depressi? Dice Mencacci: «Quando permangono per diversi giorni e per buona parte del tempo un umore depresso, perdita di interessi, disturbi del sonno, difficoltà a concentrarsi, a prendere decisioni e a fare scelte, a programmare il futuro a breve o media scadenza, mancanza di energia, senso di inadeguatezza, incapacità ad affrontare problemi, facile irascibilità ed emotività. In prima battuta è bene rivolgersi al medico di famiglia, che può gestire le forme lievi o lievi-medie e indirizzare allo specialista in psichiatria, se ce n’è bisogno, ad esempio le forme severe, recidivanti, resistenti ai trattamenti, con sintomi psicotici, melanconiche, perché necessitano interventi integrati per lunghi periodi, con l’obiettivo di evitare rischi di cronicizzazione».
«Su una popolazione di circa 50 milioni di abitanti maggiorenni, ogni anno 2,5 milioni di persone soffrono di una patologia depressiva clinicamente rilevante — chiarisce Mencacci —. Un dato osservato in diverse ricerche è un aumento generazionale del rischio: più ci si allontana, come nascita, dalla seconda guerra mondiale, maggiore è la diffusione del disturbo. Ancora non si sa il perché, anche se si è pensato all’influenza di variabili come gli stili di vita, la maggiore esposizione a sostanze stupefacenti, la modificazione delle abitudini del sonno».
Una conferma di questo cambiamento viene da un aneddoto su uno dei primi antidepressivi scoperti, l’imipramina: i produttori giudicarono il numero di depressi troppo scarso per rendere la molecola commercialmente interessante, mentre oggi gli antidepressivi sono una delle più importanti voci della spesa farmaceutica.