domenica 5 luglio 2015

Corriere La Lettura 5.7.15
Avere meno degli altri non è uno scandalo. Il dramma è la povertà
Parla il filosofo Harry G. Frankfurt
intervista di Marco Del Corona


Se la disuguaglianza ci preoccupa, dovremmo preoccuparci di noi stessi. Perché il vero nodo è la povertà. E guai se non lo vediamo. Ne è convinto Harry G. Frankfurt, professore emerito di Filosofia a Princeton e campione di vendite con On Bullshit (in Italia è uscito dieci anni fa per Rizzoli con il titolo Stronzate. Un saggio filosofico ), che al tema ha dedicato il suo nuovo libro, On Inequality .
Lei invita a concentrarsi più sull’eliminazione della povertà che sulla riduzione della distanza fra ricchi e poveri. Perché?
«Perché la povertà è una condizione dolorosa, che fa danni, mentre di per sé la disuguaglianza è innocua. La situazione di chi sta in una posizione subalterna può essere buona abbastanza da garantire una vita soddisfacente».
Però, almeno in Occidente, pare ci sia più attenzione alla disuguaglianza che alla povertà.
«Non ne sono così convinto. Forse perché la povertà può sembrare un elemento che non si riesce a sradicare dalla vita sociale, mentre la disuguaglianza può apparire più suscettibile di un controllo. O forse perché è facile vedere la disuguaglianza come ingiusta, mentre la povertà può essere imputata ai fallimenti personali del povero».
Il liberalismo classico suggerisce che la disuguaglianza e il desiderio di colmare le differenze sono una forza potente e positiva all’interno della società.
«L’ambizione è ancora una caratteristica desiderabile e colmare lo scarto esistente può ancora essere un obiettivo ragionevole. Ma un obiettivo più ragionevole non è l’uguaglianza, ma l’autosufficienza. Se la società offre la possibilità di raggiungere una posizione nella quale una persona possa trovare la vita soddisfacente, allora non è particolarmente importante se ci sono persone che occupano posizioni superiori».
Lei tiene la categoria della povertà separata dalla disuguaglianza. Ma la povertà non è una prova di disuguaglianza? Un povero soffre di una disuguale distribuzione della ricchezza…
«No. La povertà non implica disuguaglianza. Ci sono Paesi nei quali quasi tutti sono poveri perché ci sono poche risorse: lì potrebbe non esserci una significativa disuguaglianza. La distribuzione della ricchezza in una società può essere totalmente ugualitaria, con tutti ugualmente poveri e dunque ugualmente incapaci di condurre una vita accettabilmente produttiva e soddisfacente. La disuguaglianza di per sé non implica che molti siano poveri».
Che soluzione proporrebbe lei per affrontare questa dicotomia tra povertà e disuguaglianza?
«Promuovere misure per garantire a chiunque di avere abbastanza per vivere, senza doversi preoccupare se ha meno di altri».
Quali filosofi del passato hanno affrontato il tema della disuguaglianza in modo utile anche oggi?
«Non mi pare che nessuno se ne sia occupato significativamente, ma occorrerebbe rileggersi Aristotele e la sua discussione sulla giustizia e sull’uguaglianza ( Etica Nicomachea , ndr)».
La disuguaglianza e la povertà sono potenti motori narrativi. Oggi dove trova le narrazioni più efficaci della disuguaglianza?
«La narrativa della disuguaglianza è ben presente nei discorsi dei politici. E sui media in generale».
Lei si concentra sulla disuguaglianza economica. Ma c’è anche una disuguaglianza etnica, di genere...
«Le disuguaglianze che lei cita sono importanti, ma né io né nessun altro conosciamo davvero metodi efficaci per affrontarle. Potrebbe aiutare una legislazione mirata, naturalmente, ma alcune disuguaglianze sono così profondamente radicate nella natura dell’uomo e nella sua stessa storia che alla fine si rivelano relativamente immuni alle diverse forme di manipolazione sociale. Aiuterebbe anche l’istruzione, ma, ancora, i suoi effetti benefici saranno probabilmente lenti nell’immediato futuro e non saranno in grado di vincere una resistenza molto radicata».
E il liberalismo di oggi sa dare risposte?
«Il liberalismo di oggi è troppo confuso e privo di fiducia in se stesso per mobilitare l’energia e la chiarezza di obiettivi per affrontare in profondità questi problemi. Negli Usa, il mio Paese, il problema è in particolar modo refrattario a essere affrontato per via della forza di ostacoli non politici, soprattutto quelli che derivano dall’enorme ricchezza che sostiene gli interessi che resistono a soluzioni liberali».
Dove vede le società meno diseguali?
«In Scandinavia, credo».