Corriere 8.7.15
Sulle riforme atto di realismo che fotografa le difficoltà
di Massimo Franco
P iù che una sconfitta, è un gesto di realismo: la presa d’atto che sulla riforma del Senato il governo non poteva compiere forzature senza aggravare le sue difficoltà. Il rinvio di fatto a settembre dell’approvazione della nuova legge può diventare così il primo passo compiuto da Matteo Renzi per ricostruire i rapporti con la minoranza del Pd; e per rendere meno lacerante quella che per alcuni giorni ha rischiato di essere un’altra sfida acrobatica agli avversari e ai numeri parlamentari. Tra l’altro, imporre il testo già approvato alla Camera ai 25 Democratici firmatari della lettera che chiede un Senato elettivo, probabilmente avrebbe provocato le dimissioni di Anna Finocchiaro.
Perdere l’appoggio del presidente della Commissione affari costituzionali in una fase nella quale occorrono competenza giuridica e mediazione, sarebbe stato un inciampo. Sarebbero aumentati i veleni nei rapporti parlamentari: peraltro senza avere nessuna garanzia dell’approvazione della riforma entro il 7 agosto. Ci si chiede perché alla fine Renzi e soprattutto il suo ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, abbiano accettato di rimandare la vittoria e di concedere qualcosa.
Quanto sta accadendo è la conseguenza del voto regionale di maggio e dei ballottaggi che hanno ridimensionato il Pd renziano; delle tensioni tra Palazzo Chigi e l’elettorato in tema di riforma della scuola; di una crisi europea che espone l’Italia e il premier e non gli permette di tenere aperti troppi fronti; e dei rapporti di forza in Senato, tali da risentire di qualunque scontro a sinistra. Non significa, tuttavia, che il premier sia disposto ad accettare tutto.
Si tende a escludere fin d’ora l’elezione diretta dei senatori, come chiede la minoranza. L’ipotesi più probabile rimane un «listino» eletto a parte nei consigli regionali, e inserito in qualche modo nella Costituzione. Altrimenti, il Senato potrebbe di nuovo chiedere di dare la fiducia al governo, come adesso. Ma si ammette che la partita non sarà facile comunque. Il rinvio è un inizio di distensione. Rimane da capire se Renzi riuscirà davvero a recuperare lo «schema Mattarella», e cioè l’unità del partito che ha portato all’elezione del capo dello Stato; oppure se opterà per percorsi meno lineari.
L’appoggio delle truppe di complemento dei senatori di FI vicini a Denis Verdini o degli ex M5S è in incubazione; e la maggioranza non esclude di usarli in extremis. Ma spunta anche la disponibilità dei berlusconiani a votare col Pd un Italicum modificato, che può diventare una trappola. L’unica certezza è che il capo del governo vuole celebrare nel 2106 un referendum «per capire se le riforme piacciono ai cittadini». Eppure, per paradosso il 2016 è lontano. Le convulsioni di una Grecia sull’orlo del collasso, e un’Ue che esclude l’Italia dagli incontri strategici, come è successo anche ieri, possono diventare fattori di logoramento.