Corriere 7.7.15
Perché Angela Merkel dovrebbe accettare di tagliare il debito
Lo sfacelo della linea finora adottata si manifesta in modo duplice: come perdita economica e sconfitta politica. L’unica via d’uscita è trattare
di Wolfgang Munchau
Le carriere politiche si decidono in momenti come questo. I ripetuti avvertimenti di una possibile Grexit da parte di Sigmar Gabriel rendono ora impossibile per la Spd prendere le distanze dalla catastrofica politica europea di Angela Merkel. Sul piano della politica economica i socialdemocratici si sono declassati da soli a terzo elemento dell’Unione, una sorta di traballante appendice di Cdu e Csu.
Le reali alternative ora si trovano solo alle ali estreme, destra o sinistra. L’unica piccola chance di tornare a una posizione razionale è proprio nelle mani della Merkel stessa, che può evitare la débâcle dando il suo assenso a una conferenza sul debito per la Grecia. Potrebbe mettere sul piatto una cancellazione del debito a fronte di riforme rigorose: nessuna misura di risparmio, ma vere e proprie riforme strutturali. Politicamente una proposta di questo genere metterebbe Alexis Tsipras in difficoltà; tuttavia per lui opporsi sarebbe assai complicato. Sul piano economico la cancellazione del debito non ha alternative. È raro per me usare questa espressione perché la politica — e soprattutto la politica economica — consiste nello scegliere tra diverse alternative. Eppure in questo caso è un’espressione appropriata. Il taglio del debito, frutto di trattative o unilaterale, è una matematica conseguenza dei parametri economici stabiliti per la Grecia. Il Paese potrà restare nell’euro solo se saranno soddisfatte esattamente quattro condizioni: il condono dei debiti, un rifinanziamento del sistema bancario, reali riforme strutturali e la fine della politica di austerità. Se la Germania e gli altri finanziatori danno la propria disponibilità, allora la temuta Grexit si potrà scongiurare. Altrimenti no. È un dato di fatto.
La domanda è: la Merkel può e vuole farlo? Tra le sue fila c’è inquietudine e lei sa anche che Wolfgang Schäuble considera ormai la Grexit la strada giusta. Dovrebbe superare resistenze e ammettere indirettamente che la sua politica di rifinanziare i vecchi con nuovi debiti è fallita.
Uno studio della storia economica avrebbe reso superflua questa tardiva ammissione. Le lezioni che si possono trarre dall’economia sono raramente inequivocabili, ma la storia ci insegna senza dubbio che la crisi del debito va risolta rapidamente. Chi arriva tardi viene punito dalle circostanze. Penalmente i programmi di sostegno alla Grecia deliberati nel 2010 e 2012 avrebbero senza dubbio configurato un ritardo nella presentazione dell’istanza di insolvenza, se si fosse trattato del settore privato. Ciò che è successo qui è, di per sé, un illecito anche se formalmente non soddisfa i requisiti giuridici per essere considerato un reato. Si tratta dell’occultamento di fatti economici per futili motivi, cioè il tornaconto politico della Cancelliera a pesante discapito dei contribuenti. Il fatto che in Germania, di fronte a questa catastrofe, nessuno chieda le dimissioni di Angela Merkel è segno di una cultura politica malata.
Lo sfacelo della politica adottata dalla Merkel nei confronti della Grecia si manifesta ora in modo duplice. Nel caso di una Grexit la Grecia non rimborserà un solo centesimo dei propri debiti ufficiali, con il rischio per la Germania di una perdita assoluta di 90 miliardi di euro, cui si aggiunge una cifra incalcolabile in termini di danni collaterali. Se la Merkel accetta di prendere parte a una conferenza sul debito, la perdita materiale diminuisce notevolmente, ma l’onta aumenta. Nel primo caso si può attribuire la colpa ai Greci e definirsi vittima innocente. Nel secondo caso si riconosce indirettamente il proprio ruolo nella crisi. Il taglio del debito sarebbe razionale sul piano economico, ma non necessariamente su quello politico. Personalmente non sono ottimista poiché finora l’istinto della Merkel l’ha sempre indotta a scegliere l’opzione che presentava la minore resistenza.
Per un tedesco come me che vive da tanti anni all’estero, è sempre sorprendente vedere come un Paese di grandi scienziati e ingegneri, che affonda le radici nell’umanesimo e nel razionalismo, si faccia travolgere dall’emotività ogni qualvolta debba affrontare un dibattito importante. Così come nel 1914 i nostri nonni si rallegravano di fronte alla prospettiva di una guerra di breve durata, oggi i conservatori tedeschi pretendono la Grexit. Alcuni di loro sanno benissimo che un’uscita della Grecia destabilizzerebbe l’euro per lungo tempo, ancora non si sa esattamente in quale misura. Il pericolo di contagio diretto è limitato. Io ravviso invece il pericolo maggiore in un successo di quella stessa decisione. Se due anni dopo una eventuale Grexit l’economia greca riprende a crescere, il dibattito prenderà un’altra piega, soprattutto in Italia. Da quello che una volta era un rischio scaturirà una liberazione che lascerà dietro di sé un moncone di euro nordeuropeo, con un cambio sopravvalutato. Gli effetti di questa politica economica si potranno confrontare allora con la catena di decisioni drammatiche prese cento anni fa: una guerra sottovalutata, seguita da un Trattato di Versailles che nel suo dogmatismo non si discosta sostanzialmente dai principi della politica economica tedesca.
La decisione razionale per la Germania sarebbe accettare un taglio del debito. Alexis Tsipras dà segnali di voler trattare. Anche la Merkel lo dovrebbe fare.
(Traduzione di Franca Elegante)