martedì 7 luglio 2015

Corriere 7.7.15
Il timore che il populismo approfitti della crisi greca
di Massimo Franco


L’europopulismo adesso ha un campione, una vittoria da sventolare davanti all’opinione pubblica, e un patrimonio di consensi antisistema da offrire agli imitatori continentali. Ma per l’Italia sono presagi di un futuro precario. Non solo per la spinta indiretta che movimenti come quello di Beppe Grillo e la Lega di Matteo Salvini possono ricavare dal «trionfo» di Alexei Tsipras. Il rischio, palpabile, è che la Grecia del «No» nel referendum sia l’avanguardia di un’Europa meridionale in bilico: tanto da risucchiare il nostro Paese verso il fondo della classifica; e che quanto accade sottolinei la leggerezza geopolitica italiana.
L’emergenza potrebbe acuire le diffidenze e l’arroganza delle nazioni nordeuropee verso quelle mediterranee: una guerra culturale giocata sul piano delle regole finanziarie. In questo conflitto l’Italia, con il suo debito pubblico troppo alto, può diventare il prossimo obiettivo. Anche perché sul piano interno cresce il timore che si appesantisca l’ipoteca populista su un governo costretto a ridimensionare i suoi obiettivi di crescita. Il lungo incontro di ieri tra Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è stato nel segno di un giusto allarme. La crisi di Atene non è destinata a favorire Matteo Renzi.
L’asse con la cancelliera Angela Merkel è stato inevitabile e pragmatico. E l’euforia greca per il «no» ai vincoli di Bruxelles sa di liberazione ma anche di disperata emotività. Però, colpisce la scarsa rilevanza dell’Italia nel contesto dell’Ue. L’idea che Renzi possa essere un mediatore tra Grecia e Ue sa di illusione. Il vertice a due Merkel-Francois Hollande di ieri a Parigi conferma la volontà, per quanto irritante o miope, che le strategie si decidano tra quei due Paesi. Palazzo Chigi ha ricordato che qualche giorno fa, in realtà, dalla Merkel c’era Renzi: precisazione corretta.
Ma la sensazione è che Roma partecipi alle trattative da comprimaria. Forse sarebbe bene ricalibrare la presenza in Europa con una presa d’atto che il rilievo del governo di Roma è cambiato. Renzi ieri ha assicurato che «l’Italia farà la sua parte per ricostruire l’Ue». Ma per la piega drammatica che hanno preso le cose, non è chiaro quale sarà «la sua parte»; se riuscirà a imporla o se finirà per esserle assegnata da altri. L’altra incognita è quanto l’offensiva del M5S e della Lega influirà sulle prossime mosse di Palazzo Chigi.
L’atteggiamento della filiera antigovernativa è di chi ritiene di avere vinto una battaglia. E ora asseconda il vento antisistema, convinta che soffi comunque a suo favore. Renzi ribadisce che se non cambia, l’Europa è finita. Il tentativo è di recuperare una posizione mediana tra i rigoristi guidati dalla Germania, e l’antieuropeismo delle forze populiste. Si tratta di una «terza via» ragionevole ma nebulosa. Sembra di trovarne un’eco nella posizione vaticana, critica verso «i palazzi di Bruxelles. L’Europa delle élites, dei non eletti, dei club riservati...». Parole testuali dell’ Osservatore romano , organo della Santa Sede.