domenica 5 luglio 2015

Corriere 5.7.15
«Rubati» 236 miliardi al Pil: il costo di evasione e corruzione
di Sergio Rizzo


Immaginate un Paese dove il debito pubblico sia al 58,3% di un Pil superiore di qualcosa come 236 miliardi al nostro di oggi. Roba da far schiattare d’invidia tutta la cancelleria tedesca, cominciando da Angela Merkel. Quel Paese sarebbe l’Italia, se solo si fosse fatta una lotta seria a sprechi, corruzione ed evasione fiscale. La stima è nell’ultimo rapporto sull’Italia del centro studi Economia reale dell’economista Mario Baldassarri.
Neppure stavolta mancherà chi di fronte a calcoli del genere scrolla le spalle, riesumando il formidabile aforisma di quel Pier Peter impersonato dieci anni orsono dal comico Antonio Albanese: «L’economia è una cosa troppo seria per lasciarla fare agli economisti». Ma qui purtroppo c’è davvero poco da ridere.
I numeri, innanzitutto. Baldassarri parte dal presupposto che sprechi e corruzione siano direttamente proporzionali all’andamento della spesa pubblica corrente. E per valutare che cosa sarebbe accaduto dal 2002 al 2014 se si fosse davvero dichiarata la guerra a questa piaga ha fatto due ipotesi, entrambe agganciate a drastici interventi sulla spesa pubblica corrente. La prima, il taglio secco di 45 miliardi, da destinare per 40 miliardi alla riduzione delle tasse (25 di Irap e 15 di Irpef) e per 5 miliardi agli investimenti. La seconda il congelamento della spesa corrente ai livelli del 2002 e l’eliminazione dei 25 miliardi di trasferimenti a fondo perduto.
Le proiezioni sono impressionanti. In tredici anni il Pil sarebbe salito da un minimo di 128 a un massimo di 141 miliardi. I posti di lavoro sarebbero cresciuti fino a un milione e 180 mila posti di lavoro, con un deficit pubblico ridotto fino a 105 miliardi e un debito pubblico ridimensionato di una somma enorme: compresa fra 530 e 840 miliardi.
E la lotta all’evasione, continua la simulazione di Baldassarri, avrebbe fatto il resto. In questo caso l’ipotesi è una sola: controlli incrociati severissimi utilizzando tutte le banche dati disponibili e l’introduzione di meccanismi di deduzione per alimentare il conflitto d’interessi. Il concetto è semplice: se so che posso detrarre dalle tasse il conto dell’idraulico, gli chiederò la fattura e lui pagherà le tasse. Grazie a questo piano d’azione, stima l’economista, sarebbe stato possibile recuperare una decina di miliardi circa per dieci anni consecutivi. Con il risultato che il nostro Pil potrebbe essere ora più alto di 95 miliardi e il debito pubblico più basso di 266.
Fosse andata davvero così, chiosa il documento che viene presentato domani a Roma, l’Italia avrebbe potuto rispettare senza alcuna difficoltà il «famigerato» Fiscal compact e la nostra economia, navigherebbe in acque ben più tranquille: con un Prodotto interno lordo superiore del 17 per cento circa a quello attuale.
Se poi a tutto questo si fosse aggiunta una condizione astrale favorevole, ovvero un euro non così sopravvalutato rispetto al dollaro, ecco che si sarebbero schiuse le porte del paradiso. Secondo il rapporto del centro studi Economia reale il super-euro ci è costato dal 2002 al 2014 ben 168 miliardi di Pil e 403 miliardi di debito pubblico.
Ma purtroppo non è andata così. E Baldassari, che per ben cinque di quegli anni ha avuto una responsabilità diretta, come viceministro dell’Economia del governo di Silvio Berlusconi, non esita a ricordare nel rapporto anche quella fase piena di scelte controverse e titubanze, e poi di contrasti nell’esecutivo, con minacce di dimissioni reciproche mai portate a compimento, sfociati in una pace che non ha portato a nessun cambiamento concreto. Tanto sul piano della lotta agli sprechi e alla corruzione quanto su quello del contrasto vero all’evasione. «Perché non si è mai fatto nei quindici anni passati e non si profila tuttora che qualcuno intenda farlo, almeno per i prossimi cinque anni?», si chiede Baldassarri. «Semplice: è un nodo squisitamente e profondamente politico, o meglio è un nodo di interessi contrapposti. Da un lato ci sono i circa 2 milioni di italiani che in tutti questi anni hanno continuato a prosperare ed accumulare patrimoni illeciti con gli sprechi e le ruberie di spesa pubblica e con l’evasione fiscale. Dall’altro lato ci sono gli altri milioni di italiani che hanno subito e subiscono la crisi e la disoccupazione con prospettive disarmanti per i giovani che scappano sempre più all’estero. Questi ultimi hanno perso tra il 2002 ed il 2014 circa 250 miliardi di Pil, hanno subito il raddoppio della disoccupazione e nonostante le sempre precarie condizioni della nostra finanza pubblica, hanno anche subito pesanti aumenti della tassazione».
Una situazione, conclude il rapporto, destinata a non durare a lungo senza gravi conseguenze. «L’Italia potrà anche galleggiare, ma certamente il Paese continuerà a subire un processo di bradisismo economico e sociale».