domenica 5 luglio 2015

Corriere 5.7.15
Se la Banca Mondiale si «censura» per la Cina
di Guido Santevecchi


Non succede spesso che la Banca Mondiale cambi idea e si corregga nel giro di due giorni. È successo con la Cina, che mercoledì era stata criticata per il suo sistema finanziario «distorto e le scarse strutture di governance». Il rapporto della World Bank osservava che il governo cinese detiene il controllo di quasi il 95% degli asset delle banche e avvertiva che «una fondamentale riconfigurazione del ruolo dello Stato nel sistema finanziario è essenziale».    Passano due giorni e il capitolo del China economic update viene ritirato e cancellato dal sito dell’istituzione con sede a Washington che fu fondata con gli accordi di Bretton Woods nel 1944 per guidare la ricostruzione e lo sviluppo dopo la Guerra mondiale. La spiegazione ufficiale è che le critiche «non erano passate dal normale processo di revisione interna e autorizzazione».    Un’auto-sconfessione. Dietro la quale è lecito sospettare che ci siano state pressioni da parte di Pechino. Bert Hofman, direttore della Banca Mondiale per la Cina, smentisce: «Nessuna pressione, quello che è uscito non era adeguato ai nostri standard di dibattito con i Paesi membri, il ritiro è stata una nostra decisione», ha detto al Financial Times. Resta il fatto che nel sistema finanziario cinese lo Stato è proprietario delle banche, pianificatore e autorità di regolamentazione. Una situazione senza eguali nelle economie di mercato. E comunque, se Mr. Hofman è sincero e i cinesi non hanno imposto la cancellazione della critica, emerge un problema serio di mancato controllo delle analisi nella Banca Mondiale. Se invece sono fondati i sospetti sulle origini del ripensamento, significa che la World Bank è forte con i deboli e debole con i forti. Quale che sia la verità, lo strano caso del capitolo cancellato non accresce la fiducia nell’autonomia e integrità delle relazioni prodotte dall’istituzione a guida americana.