domenica 12 luglio 2015

Corriere 12.7.15
Il peso di Atene
Dal patto di Varsavia alla crisi ucraina, alla Siria i rischi per l’Occidente se Atene lascia l’Europa
di Maurizio Caprara


P rendiamo in considerazione le ipotesi peggiori, quelle che speriamo non si realizzino. In una fase storica nella quale “volatili”, come si usa dire, possono essere non soltanto i mercati finanziari, ma anche elettorati e stabilità politiche di nazioni, soppesare gli scenari più foschi aiuta a capire alcune delle potenziali poste in gioco in partite cruciali. Nel caso dei contrasti tra il grosso dell’Unione europea e Grecia, ci ricorda perché lo spazio per le divergenze non andrebbe considerato illimitato.
Che cosa succederebbe se la Grecia, indebitata con l’estero e abitata da una popolazione in affanno di circa undici milioni di persone, scivolasse fuori dall’Unione europea, non soltanto dall’euro? E quali elementi degli equilibri geopolitici attuali verrebbero meno se la malandata ex patria della dracma cadesse sotto influenze straniere ad Oriente o se uno sfibrarsi delle sue autorità la facesse finire nella lista degli Stati falliti? Quali scompensi ne deriverebbero?
Pur senza essere pronunciate ad alta voce, sono domande che nei giorni scorsi hanno avuto un peso nel risorgere di uno spirito di riconciliazione tra le altre capitali europee e Atene. Nella seconda metà del XX secolo l’uscita della Grecia dall’area di influenza occidentale è sempre stato scongiurato. Troppo vicina a fonti di possibili minacce. Sottomarini e navi del Patto di Varsavia abbondavano nel Mar Nero. La flotta sovietica ebbe come base nel Mediterraneo quella di Tartus, in Siria, utilizzata dalla Marina russa mentre regime siriano e ribelli si combattono. Tuttora Unione europea e Nato non possono permettersi di perdere la Repubblica ellenica: sarebbe una ferita pesante alla sicurezza dell’Occidente.
La Grecia aderì alla Nato nel 1952. Nel 1967 un colpo di Stato militare la sottrasse alla democrazia, non alla parte di mondo con legami transatlantici. Nel 1974 le elezioni e il referendum che eliminò la monarchia fecero riprendere seppure a zig zag il cammino che nel 1981 ha portato il Paese nella Comunità economica europea, nome di allora dell’Ue. A differenza dell’Italia, la nazione aveva conosciuto tra 1946 e 1949 una guerra civile fra comunisti e anticomunisti. Sotto il profilo geopolitico quanto valga tenere agganciata la Repubblica ellenica all’Europa e alla Nato è intuibile da pochi numeri e cenni storici. La Grecia ha oltre 13 mila chilometri di coste, più di 1.400 isole di varie dimensioni, tratti di mare percorsi da traffici legali e non. Confini facilmente violabili contribuiscono a renderla il principale accesso per l’immigrazione clandestina in Europa. Via terra sono lunghi 212 chilometri con l’Albania (ricorrenti gli attriti sui migranti albanesi e sulla minoranza greca nel Sud dell’ex dittatura di Enver Hoxa), 472 chilometri con la Bulgaria, 234 chilometri con la Repubblica di Macedonia (della quale Atene non accetta la presenza della parola “Macedonia” nel nome), 192 chilometri con la Turchia (dalla quale la Repubblica ellenica è divisa da contrasti su acque territoriali, spazio aereo, Cipro e da un divario nel dinamismo economico oggi a vantaggio dei turchi). Con il suo 98% di popolazione ortodossa, il Paese europeo che paga cari i prezzi di sprechi e imbrogli di vecchi governanti ed è esposto al fascino di un radicalismo rivendicativo costituisce una sorta di frontiera tra Paesi a maggioranza cristiana e mondo islamico.
Per Nato e Stati Uniti la posizione geografica della Grecia è strategica e irrinunciabile quanto quella dell’Italia. Se la seconda è stata paragonata a una portaerei verso l’Africa del Nord, il territorio greco lo è anche verso il Medio Oriente. Non solo perché della Nato ospita a Salonicco il corpo d’armata di uno dei suoi nove comandi di alta prontezza operativa in Europa, a Creta un centro di addestramento per interdizione in mare e ad Atlanti uno di una rete di basi per satelliti.
Il valore strategico della Grecia è superiore a quello della sua economia anche perché il Paese si trova alle porte dei Balcani, dove etnie diverse distribuite a macchia di leopardo vivono in più casi con magma sotto la superficie della quiete. La Bosnia Erzegovina ha una serenità fragile e una popolazione al 40% musulmana. Pur di evitare i rischi di uno stallo, i partner europei hanno reso esecutiva l’entrata in vigore del suo accordo di associazione con l’Ue in cambio di un impegno dilazionato, non immediato, a varare riforme.
Atene resta un puntello della stabilità del nostro continente da non mettere in forse mentre la Turchia tende a slittare verso Est ed è più spregiudicata in Medio Oriente, mentre la Russia in difficoltà finanziarie vede calare i prezzi di aziende greche e ha interesse a influire su un Paese ortodosso legato agli occidentali dai quali subisce sanzioni a causa delle azioni sull’Ucraina.
Neppure dal punto di vista sociale uno sfilacciarsi delle autorità greche sarebbe privo di impatto sui vicini. In un profilo del Paese la Cia definisce la Grecia una “porta di ingresso in Europa per trafficanti che contrabbandano in Occidente cannabis ed eroina dal Medio Oriente” con “riciclaggio di danaro legato a traffico di droga e al crimine”.
La rotta anatolico-balcanica è ritenuta quella preferita dai cosiddetti foreign fighters, i combattenti stranieri che si uniscono a milizie islamiche integraliste a Est e Sud dell’Europa. Indebolire le relative capacità di controllo dell Grecia su quanto le accade dentro e intorno non sarebbe proficuo. Non per noi.