sabato 11 luglio 2015

Corriere 11.7.15
L’ultima occasione di Marino
di Aldo Cazzullo


La capitale d’Italia sta diventando un caso internazionale di incuria e degrado. L a morte di un bambino in una metropolitana da anni a livelli mediorientali, ulteriormente peggiorati da giornate di sciopero a singhiozzo, ne è soltanto l’ultimo, gravissimo segno. (Nella foto, il sindaco di Roma, Ignazio Marino).
 Va avanti a singhiozzo pure l’aeroporto, in piena stagione turistica e alla vigilia del Giubileo. Mentre lo scandalo di Mafia Capitale si va profilando in tutta la sua gravità: emerge un quadro sempre più serio di contaminazione tra malaffare e malapolitica; e cresce l’impressione che non sia affatto finita qui. Se una città si riduce in tali condizioni, è inevitabile guardare al sindaco. Ignazio Marino non ha responsabilità immediate nei disastri di questi giorni (Fiumicino non è neppure nel suo Comune); ma non può considerarsi soltanto un capro espiatorio. Nessuno dubita della sua integrità personale; ma finora la sua difesa è stata debole.
Non basta addossare le responsabilità al partito. Tutti sanno che il Pd romano è inquinato da clientelismo e corruzione; non a caso è stato commissariato. Troppi segnali però indicano che Marino ha fatto poco, come sostiene nella sua relazione il procuratore Pignatone. Tre dipartimenti su 15 (Politiche sociali, Ambiente, Emergenza abitativa) in mano a Mafia Capitale; la richiesta del prefetto Gabrielli di rimuovere il direttore generale del Comune e di sciogliere il consiglio municipale di Ostia; interferenze in grado di inquinare gli appalti e le scelte delle società controllate, dall’Ama all’Ente Eur: gli elementi raccontati sul Corriere da Giovanni Bianconi confermano che non bastano l’onestà e le buone intenzioni a liberare l’amministrazione dagli interessi criminali.
Marino non può pensare di rispondere al disagio della capitale con formule tipo «resterò fino al 2023», come se avesse la rielezione in tasca. Non può illudersi di continuare come se nulla fosse. Deve dimostrare di essere capace di uno scatto. Deve aprire una nuova stagione. Costruisca un’altra giunta, di altro livello, aperta a tecnici non legati ai partiti, a personalità della cultura e delle professioni, a esponenti di primo piano della società civile. Ce ne sono molti, disposti a fare qualcosa per la loro città. Se Roma è sporca, caotica, corrotta, lo si deve anche a una parte dei suoi cittadini, che forse la amano più a parole che con i comportamenti. Chiunque contrasti un tono medio di accidia e degrado morale rischia l’impopolarità. Marino però è riuscito benissimo a diventare impopolare, senza incidere sui comportamenti viziosi. È arrivato il momento di ribaltare il quadro.
Tra le sue grandi risorse, Roma ha una fortissima identità (i romani da più generazioni sono pochi ma i nuovi arrivati diventano romani rapidamente), segnata da tolleranza, ironia, accortezza, capacità di adattamento. Il confine con il menefreghismo, il cinismo, l’astuzia, l’arte di arrangiarsi è molto labile, e spesso è stato oltrepassato. Ma ora una maggioranza crescente di romani, al di là degli schieramenti ideologici, avverte la necessità di un cambiamento profondo, di una ricostruzione incentrata su regole, legalità, buona amministrazione, valori etici e anche estetici. Se Marino è in grado di prendere la testa di questo movimento, lo faccia, e dimostri in primo luogo di saper cambiare se stesso e la propria amministrazione. Se non è in grado, sarebbe meglio per lui lasciare di propria volontà, senza essere costretto dalla forza delle cose. «Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce» è scritto sul profilo del sindaco su WhatsApp. Una colta citazione di Lao Tse. Qualcuno gli ricordi che era anche il motto di Giulio Andreotti.