venerdì 5 giugno 2015

Repubblica 5.6.15
Quel pasticcio sul Tevere e Renzi senza piano B
Un nuovo scandalo scredita la politica e alimenta la rivolta del populismo
I problemi più rilevanti nello schieramento di centrodestra
Ma gli arresti sporcano anche l’immagine del leader riformatore
di Stefano Folli


SELA retata di Roma fosse stata attuata tre giorni prima delle elezioni, magari in coincidenza con le liste degli “impresentabili”, non serve molta fantasia per intuire quali conseguenze avrebbe avuto. Una devastante alluvione di discredito sul sistema politico, senza troppe distinzioni fra destra e sinistra. Viceversa, il caso e soprattutto la prudenza degli inquirenti l’ha collocata quattro giorni dopo. Gli effetti sono ugualmente clamorosi, ma meno destabilizzanti. Almeno in apparenza.
Ce n’è abbastanza per capire che in questa seconda puntata di “Mafia Capitale” ci sono molti colpevoli trasversali e ben pochi innocenti. Peraltro si può essere colpevoli anche per mancata vigilanza, per aver sottovalutato personaggi e situazioni, per troppa sicurezza di sé. Non c’è nemmeno bisogno di tirare in ballo i servizi segreti. Quel che è certo, il marciume e la corruzione che inquinano in larga misura gli enti locali hanno trovato nella capitale d’Italia una cornice propizia e a suo modo perfetta. Se gli arresti fossero avvenuti prima delle elezioni di domenica, l’astensione e il voto anti-sistema avrebbero probabilmente raggiunto vertici impensabili. Ma anche così a Roma il sistema subisce un colpo micidiale. È un problema che riguarda quasi tutti, perché la palude è estesa e nessuno può cavarsela a buon mercato dicendo «io non c’entro».
Gli intrecci e le complicità oblique riguardano il sistema delle cooperative e investono le gestione degli immigrati, sulla cui pelle si sono compiute speculazioni di ogni sorta. Certo, spetterà ai tribunali vagliare le posizioni di ogni singolo imputato. Ma il fatto incontrovertibile che al cuore del malaffare ci siano i migranti rende ancora più inquietanti i riflessi politici dell’affare. Proprio il voto di domenica ha dimostrato come l’opinione pubblica sia turbata per il senso di insicurezza, per la paura di non essere tutelata dalle forze dell’ordine; e ovviamente le inquietudini sono ritagliate sul profilo del migrante. Timori al limite del luogo comune. Figurarsi quale effetto può avere la conferma (la scoperta c’era già stata) che esponenti dei partiti, senza distinzione di colore politico, hanno lucrato per anni sui “senza patria”. E lo hanno fatto con i soldi pubblici.
Renzi è tornato a minacciare la galera per i responsabili del buco nero, ma non è una novità: lo aveva già detto in precedenza, quando il marcio cominciava a venire a galla. Tuttavia non è lui, in definitiva, che può decidere chi va in prigione e per quanto tempo. La sua è semmai una responsabilità politica per il mancato rinnovamento della classe dirigente negli enti locali. Il caso di Roma lo riguarda solo in modo indiretto, ma non c’è dubbio che “Mafia Capitale” contribuisce a sporcare l’immagine del premier riformatore nell’immaginario collettivo.
Può correre ai ripari, certo, per non lasciare a Salvini e ai Cinque Stelle tutto lo spazio pubblico di una polemica permanente contro l’ “establishment” che perdona i corrotti essendo in sostanza colluso con essi. Uno schema retorico distruttivo per le istituzioni. Si dirà che si tratta di argomenti logorati, sentiti mille volte. Il guaio è che gli scandali ricorrenti equivalgono al miglior carburante per alimentare la ribellione populista e rafforzare gli elettori (quelli che si astengono e quelli che votano per Lega e grillini) nei loro peggiori pregiudizi.
Renzi dunque può correre ai ripari. Ma come? Azzerare la giunta romana senza che questo suoni condanna di Ignazio Marino e soprattutto del Pd romano, non è plausibile. Ma difendere non tanto il sindaco, quanto gli assetti di potere locali, rischia di rivelarsi alla lunga impossibile. La verità è che il premier-segretario non è oggi in grado di fare piazza pulita in riva al Tevere e non dispone di un “piano B”. Può consolarsi pensando che il centrodestra ha problemi più rilevanti. Lo scandalo favorisce solo Salvini, oltre ai Cinque Stelle, e rende ancora più complicato il cammino dei cosiddetti moderati.