mercoledì 3 giugno 2015

Repubblica 3.6.15
Perché Renzi rischia di cadere nella trappola dei due partiti
Da una parte quello del Sud che dà una mano a De Luca, dall’altro quello più intransigente del Nord
di Stefano Folli

NON è di buon auspicio, sul terreno dei simboli, che il primo atto della nuova legislatura regionale a Napoli sia la denuncia presentata dal vincitore De Luca nei confronti di Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia. Motivo, l’attentato ai «diritti costituzionali» commesso rendendo pubblica la famosa lista degli «impresentabili» a due giorni dal voto. Non è la sola denuncia contro la Bindi: ce ne sono altre due, per le stesse ragioni, firmate da altri candidati (fra cui la moglie di Clemente Mastella, non eletta).
Ovvio che si tratta di fuochi artificiali privi di conseguenze, almeno sul piano giudiziario. Un conto sono le polemiche politiche, altro sarebbe immaginare ciò che non è immaginabile: la presidente dell’Antimafia chiamata a rispondere in tribunale dei propri atti parlamentari. Ma ovviamente il gesto di De Luca ha un senso politico, perché é volto a impressionare la sua gente in Campania e anche qualcuno a Roma. Il messaggio è chiaro: intendo restare al mio posto per tutto il tempo necessario, forzando per quanto è possibile i limiti della legge Severino, e mi aspetto il massimo sostegno dal governo e dal mio partito.
Prevedibile, certo. Tuttavia la denuncia a carico di Rosy Bindi allarga le ferite all’interno del Pd. È vero che la presidente ha raccolto una solidarietà molto scarsa con la sua lista di proscrizione, ad eccezione di Bersani e pochi altri. Ma è altrettanto vero che questo accadeva prima delle elezioni. Ora che la scossa si è verificata e che Renzi — almeno il Renzi segretario del partito — è più debole, il quadro potrebbe cambiare. Di fatto il caso Campania comincia adesso. Con De Luca che reclama l’appoggio del premier e il vertice del Pd in apparenza disposto a garantirglielo. Per ora è una questione procedurale, nel rispetto della norma. Come ha detto il vicesegretario Guerini, «c’è una legge che assegna competenze ad organi di governo che si riuniranno in tal senso, ma non c’è alcuna decadenza. La legge parla eventualmente di sospensione ».
In sostanza, si vorrebbe lasciare a De Luca tutto il tempo di insediare la giunta e nominare il vice-presidente che dovrà agire in suo nome quando la sospensione sarà effettiva. Ma le cose non sono semplici come sembrano. Il sentiero è stretto e la guerra intestina nel Pd potrebbe divampare nei prossimi giorni, quando prenderà forma il chiarimento interno che Renzi interpreta in un modo (resa dei conti con i «traditori») e la minoranza in un altro (ripensamento sui programmi, le riforme e lo stile di governo). La vicenda De Luca potrebbe diventare, e forse lo è già, una bandiera da agitare contro il gruppo dirigente renziano in nome della questione morale.
La verità è che Rosy Bindi, agendo quasi da «kamikaze» politico, ha disseminato di potenti mine il cammino di Renzi e dei suoi. Compreso indirettamente il presidente del partito, Orfini, di cui qualcuno ha voluto ripescare un vecchio «tweet» dell’anno scorso molto critico verso la disinvoltura di De Luca a Salerno. Il presidente del Consiglio può apparire come l’uomo che asseconda il neo-governatore in nome della «realpolitik»? Renzi è in grado di sfidare l’opinione pubblica esterna e le manovre interne degli scontenti del Pd? Dopo il voto tutto è diventato più complicato e acquista una logica l’argomento secondo cui a Berlusconi il centrosinistra mai avrebbe perdonato la linea morbida a favore di un «governatore» di Forza Italia che si fosse trovato nella stessa condizione di De Luca.
Ma soprattutto c’è una trappola politica che Renzi deve in ogni modo evitare. Non può permettersi che nascano due Pd con diverse sensibilità. Un partito del Sud che dà una mano a De Luca, sia pure nel rispetto formale delle procedure; e un partito del Nord, punito nelle urne dalla Liguria al Veneto, e proprio per questo intransigente sui temi dell’etica pubblica. Non disposto a compromettere la propria immagine — e le prospettive di rivincita — per coprire nel Mezzogiorno gruppi di potere che non sono nemmeno amici del premier.