martedì 2 giugno 2015

Repubblica 2.6.15
Coppie solide eppure vulnerabili così la legge ignora la metamorfosi
di Chiara Saraceno


ERA già avvenuto nei Paesi nordici ed anche in Francia e Germania, dove da diversi decenni ormai il matrimonio aveva perso il ruolo di rito di passaggio, per diventare piuttosto rito di conferma. Non si va a vivere insieme come coppia solo dopo che ci si è sposati. Piuttosto ci si sposa dopo aver sperimentato qualche anno di vita insieme e sempre più spesso anche dopo aver avuto uno o più figli. In alcuni Paesi del Centro-Nord Europa la maggioranza dei primogeniti nasce all’interno di una coppia di fatto, convivente ma non sposata. In Italia il fenomeno è più recente ed ancora minoritario, ma ha conosciuto una accelerazione fortissima nell’ultimo decennio, contraddicendo le ipotesi degli studiosi che ancora pochi anni fa ritenevano che si sarebbe diffuso molto lentamente. Soprattutto nel Centro-Nord, ha raggiunto proporzioni consistenti, spesso con la benedizione, o comunque l’accettazione della generazione più vecchia.
Lo dimostra anche il fatto che oggi un matrimonio su tre è preceduto da una convivenza di almeno un anno. Siamo quindi di fronte ad un importante cambiamento culturale, oltre che comportamentale, del significato del matrimonio e della sua collocazione nella vicenda della coppia. Rimane da vedere se ciò comporterà anche un indebolimento del matrimonio in quanto tale o solo una sua trasformazione. Nei Paesi in cui il fenomeno è più diffuso e da più tempo, la maggioranza delle coppie prima o poi si sposa, confermando quel ruolo di conferma sociale che ha l’istituto del matrimonio anche in paesi in cui esiste l’alternativa delle unioni civili. Certo, dopo aver perso il ruolo di autorizzazione ai rapporti sessuali (per le donne) e di autorizzazione alla procreazione, non si tratta più dello stesso istituto. Ma ciò non deve sorprendere né scandalizzare e tantomeno spaventare. Il matrimonio e la famiglia sono istituzioni storiche che hanno cambiato contenuto molte volte, anche quando sembravano mantenere la stessa forma. Quello attuale è uno dei periodi in cui il processo di ridefinizione è diventato più visibile, anche in Italia. Considerare, come fa qualcuno, la diffusione delle convivenze senza matrimonio un indicatore di deresponsabilizzazione e incertezza è semplicistico. Al contrario, può essere la conseguenza di una maturata consapevolezza che non basta sposarsi per essere capaci di vivere assieme e lavorare a un progetto di vita comune. Occorre piuttosto costruirne e negoziarne le condizioni giorno per giorno.
Se è vero che non occorre più sposarsi per andare a vivere assieme, non occorre neppure la protezione, o la garanzia, del matrimonio per assumere i rischi di un progetto di vita comune. Tanto più che il matrimonio stesso è diventato fragile e reversibile. Il fatto è che in Italia la mancanza di un riconoscimento formale lascia spesso indifese queste coppie proprio nei momenti più difficili. A fronte della malattia grave, o della morte di uno dei due, o della rottura di coppia, scoprono di essere considerati legalmente degli estranei, senza diritti e senza doveri reciproci, anche dopo anni di vita comune. Ciò che hanno costruito insieme e sono, o sono stati, l’uno per l’altra non ha rilevanza in assenza di uno status legale. La vulnerabilità di queste coppie non deriva solo o tanto da un incerto, o precario, investimento di chi ne fa parte, ma anche dall’incertezza del loro status a livello istituzionale, a prescindere dalla loro durata e solidità.