mercoledì 24 giugno 2015

Repubblica 24.6.15
I curdi avanzano verso Raqqa
I jihadisti assediati nella loro “capitale”
di Alberto Stabile


BEIRUT. Esplode la guerra delle minoranze, una delle tante guerre che si combattono sul campo di battaglia siriano. Con i curdi del Ypg che, dopo aver strappato Tel Abyad dalle mani dei jihadisti, hanno conquistato Ain Issa, e adesso si trovano a pochi chilometri da Raqqa, la cosiddetta capitale del Califfato in Siria, e con i drusi del Golan, che hanno sfogato la loro rabbia contro i ribelli che combattono contro il regime di Assad e nel contempo attaccano i drusi siriani, tradizionali alleati del regime di Damasco, linciando due miliziani feriti mentre venivano trasportati su un ambulanza dall’esercito israeliano in un’ospedale dello Stato ebraico per essere curati.
L’avanzata delle forze curde siriane, appoggiate dagli aerei della Coalizione guidata dagli Stati Uniti, rappresenta una novità capace di alterare l’andamento di una guerra in cui lo Stato Islamico sembrava farla da padrone. Prima la vittoria di Kobane, poi Tel Abyad, ora Ain Issa, i miliziani del Ypg, una costola del turco Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, guidato da Abdallah Ochalan, sembrano intenzionati a riprendersi, con l’auto degli aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, quel che gli uomini del Califfato avevano tolto loro con la forza. Ora l’obiettivo più immediato sembra Raqqa, la capitale siriana del Califfato, nonché prigione degli orrori per molti ostaggi occidentali che lì sono stati imprigionati e uccisi. Un “primato” non solo di Raqqa, come dimostrano le immagini messe in rete ieri dai jihadisti, ma anche di un’imprecisata città irachena dove cinque prigionieri sono stati rinchiusi in una gabbia e precipitati in una piscina in cui sono annegati davanti all’obiettivo di due telecamere subacquee.
Bisogna fare un salto di centinaia di chilometri verso Sud, per raccontare l’altro capitolo della guerra delle minoranze che sta insanguinando la Siria e rischia di risucchiare nelle sue spirali anche Israele. Siamo nel Golan, l’altopiano siriano che Israele ha occupato nella guerra del 1967 e unilateralmente annesso nel 1981. Qui vive una comunità di ventimila drusi, minoranza religiosa derivante dallo fede sciita, i quali, nonostante si sentano siriani, non hanno cittadinanza, né passaporto, sono un popolo occupato.
È naturale che sentano sulla propria pelle le ferite che la guerra civile ha inflitto ai drusi siriani con i quali hanno rapporti di parentela e un profondo sentimento di appartenenza. Ora, specialmente nelle ultime settimane, la comunità drusa di Siria, tradizionalmente alleata del regime, s’è ritrovata sotto attacco da parte degli jihadisti del Fronte al Nusra, l’emanazione di Al Qaeda tra i ribelli siriani Anche alla luce di questi ultimi fatti, la strategia scelta da Israele, di chiamarsi formalmente fuori dal conflitto siriano, ma di soccorrere fattivamente (Damasco dice: di appoggiare) i ribelli che combattono contro il regime, risulta agli occhi dei drusi del Golan, incomprensibile e ingiusta. Così in meno di 24 ore, due ambulanze che trasportavano miliziani feriti, in procinto di essere ricoverati in un ospedale israeliano, sono state attaccate e nel secondo episodio, successo nella cittadina di Majdal Shams, la capitale la folla non soltanto ha bloccato il mezzo, ma ha sfondato i vetri a colpi di pietra, tirato fuori i due feriti e li ha linciati, uccidendone uno riducendo l’altro in fin di vita. Il premier Netanyahu ha promesso che giustizia sarà fatta.