mercoledì 24 giugno 2015

Corriere 24.6.15
Italiani alla forca, senza colpa
Il 20 luglio 1899 cinque siciliani furono impiccati in Louisiana. Vittime dell’odio razzista
di Corrado Stajano


Q uel che accadde 116 anni fa in un puntino del mondo può servire a far da specchio al nostro presente ancora impestato di razzismi: il ragazzo americano che ha ucciso nove neri in una chiesa metodista episcopale del North Carolina, i migranti arrivati dall’Africa che hanno passato giorni sugli scogli di Ventimiglia in attesa della libertà negata dagli egoismi della fraterna e colta Europa.
La sera del 20 luglio 1899 cinque siciliani di Cefalù furono impiccati a un pioppo a Tallulah, nello Stato della Louisiana, sul Mississippi, linciati da una folla inferocita. Una loro capra aveva brucato, forse era solita farlo, l’erba del prato del medico condotto e coroner del villaggio che a pistolettate la uccise. Uno dei cinque si vendicò e sparò contro il medico con un fucile da caccia. Il Grand Jury, convocato nella notte, decretò la morte dei cinque, si parlò di un complotto dei siciliani, i dagos , come venivano chiamati con disprezzo, una razza inferiore, più neri che bianchi. Nemici. I cinque dondolarono dall’albero per tutta la notte, il medico condotto non era morto, come era stato detto: colpito dai pallini delle cartucce da caccia andò a casa con le sue gambe...
«Piccole formichine della storia della fine del secolo», definisce i cinque Enrico Deaglio che da quella vicenda ha tratto un libro, Storia vera e terribile tra Sicilia e America, pubblicato da Sellerio . Scrittore civile, autore di libri che segnano il nostro tempo, tra gli altri La banalità del bene , l’avventura di Giorgio Perlasca che a Budapest, durante la Seconda guerra mondiale, riuscì a salvare 5.000 ebrei; Il vile agguato , l’atroce destino del giudice Borsellino assassinato dalla mafia, non estranei i servizi segreti, «deviati», naturalmente.
Deaglio vive metà dell’anno a San Francisco — l’altra metà a Torino — e gli è capitato di trascorrere periodi non brevi a Tallulah. Per un caso viene a sapere di quei cinque dagos che pareva lo attendessero per essere ricordati e avere un po’ di giustizia, anche se postuma.
I libri di Deaglio sembra che nascano come una palla di neve che via via s’ingrossa. Lo scrittore ama i luoghi, va a vedere, non trascura i dettagli che sembrano ininfluenti ma sono spesso essenziali per capire i fatti.
Chi sono i cinque dagos compaesani di Cefalù, che arrivano in America nel 1892? I tre fratelli Defatta, Joe, Frank, Charles, e con loro Rosario Fiduccia detto Sy Defichi e Giovanni Cirami, detto Cyrano. Nell’ultimo Ottocento partono dall’isola — i siciliani al posto dei vecchi schiavi — diretti a New Orleans almeno in centomila per sfuggire alla miseria, in cerca di fortuna, zolfatari, contadini falliti, garibaldini delusi.
Cefalù è un paese con una gran rocca sul mare, una basilica bizantina, il Museo Mandralisca che ospita il Ritratto d’uomo di Antonello da Messina (esposto ora al Palazzo Reale di Milano nella mostra dedicata a Leonardo). Il personaggio del dipinto, dal viso ironico e pungente, reso famoso negli anni Settanta del secolo scorso dal romanzo di Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio , secondo Deaglio assomiglia a Frank Defatta.
I cefalutani se la cavano. A New Orleans lavorano a tagliare la canna da zucchero nelle piantagioni, poi — la fatica è tremenda — si spingono al Nord, arrivano a Tallulah, trafficano con intraprendenza, vendono frutta e verdura e riescono a metter su una bottega. Diventano proprietari di due pezzetti di terra, di tre muli, di un cavallo, danno la merce a credito, cosa che ai locali non piace, assumono tre o quattro neri ad aiutarli in bottega.
Il presidente Abramo Lincoln, nel settembre 1862, ha firmato il Proclama di emancipazione che dichiara liberi gli schiavi degli Stati ribelli della guerra civile. Ma il clima sociale non è sereno in quelle terre sconfitte. A Vicksburg, non lontano da Tallulah, sul Mississippi, si combatté la battaglia campale che doveva decidere le sorti della guerra e ancora decenni dopo sono rimaste le ombre di quella memoria dolente. I latifondisti della Louisiana non vogliono rendersi conto che la legge ha distrutto il loro sistema di vita fondato sul lavoro degli schiavi ubbidienti che seguitano a considerare esseri inferiori, come i siciliani che con i neri hanno rapporti di buona convivenza.
Quella notte d’estate è il segno dell’esplosione di antichi odii e risentimenti. Lo scrittore la fa rivivere con puntiglio. Sono increduli, i cinque destinati alla forca: «Andiamo ragazzi, siamo tutti amici, ci conosciamo da sei anni», mormora Frank mentre la corda gli ha già stretto il collo.
È un racconto verità il libro di Deaglio in cui il destino di quei cinque è il simbolo atroce della lotta di classe, di culture, di costume. È anche la narrazione della follia vendicatrice del razzismo, della violenza proprietaria, del rifiuto di agire per la giustizia delle autorità italiane, a cominciare dal cavalier console di Vicksburg, per arrivare a coloro che avrebbero dovuto farlo nella patria lontana e dimentica. È anche la storia di un giornalista, Enrico Cavalli, editore e direttore della rivista di New Orleans, «L’Italo americano», che fa invece quel che deve e riesce a farsi dire da un barbiere e da un pittore itinerante i nomi degli autori del linciaggio: Fred Johnson che procurò la corda, Arden Severe che preparò il cappio. A capo di tutto il paese, Mr. Rogers, in nome proprio o dei maggiorenti. La chiave di volta, spiega Deaglio, è però J. Ford Hodge, il medico condotto e coroner che non mosse un dito per impedire quella barbarie.
Un film già fatto quella notte del 1899. Basta soltanto girare la manovella.