Repubblica 22.6.15
Le piazze di destra e le illusioni del Pd
di Piero Ignazi
LA DESTRA non si è liquefatta: esiste e lotta. Le piazze di Roma e Pontida mostrano una capacità di mobilitazione.
UNA CAPACITÀ che era rimasta sottotraccia per l’offuscamento dei suoi vecchi leader, Bossi e Berlusconi. Nell’ultimo anno i loro elettori erano andati in sonno perché avevano perso fiducia: non si sentivano più rappresentati. Ma non si erano spostati a sinistra, verso Renzi. Tant’è che le sconfitte elettorali alle recenti amministrative e i conseguenti, negativi, dati di sondaggio riportano il Partito democratico sul piano della “contendibilità”.
Il Pd sconta due problemi irrisolti: il mancato passaggio di Matteo Renzi da giovane rottamatore a leader di partito e uomo di governo, e la lettura sbagliata delle preferenze dell’opinione pubblica. Il sorprendente risultato delle europee aveva creato l’illusione che la crisi del berlusconismo portasse con sé la disponibilità di quell’elettorato a spostarsi a sinistra. Qualche dichiarazione di opinion leader ed esponenti della classe dirigente ad alta visibilità mediatica aveva rafforzato l’idea di un possibile sfondamento al centro: e il trionfo delle europee sembrava lì a dimostrarlo. In realtà, tutte le ricerche condotte in questo periodo dimostrano che gli elettori di destra non vogliono saperne di buttarsi a sinistra. Possono andare verso l’astensione o essere attirati da offerte politiche eccentriche e anti- establishment come i 5Stelle, ma non sono disponibili ad abbracciare un partito membro della famiglia socialista europea. Lo spazio elettorale è ancora nettamente segmentato tra un campo di destra e un campo di sinistra, tra cui non ci sono passaggi di voti. Chi vuole cambiare, o si astiene o sceglie una nuova offerta politica come il M5S. Certo, il leader del Pd rappresenta una rottura “storica” rispetto alla tradizione della sinistra ex-comunista, e Renzi ha giocato fino in fondo la carta del distanziamento da quelle radici. Ma non è bastato. Anzi, ha prodotto un cortocircuito. Oltre a non aver sedotto gli avversari di centro-destra, parte della sinistra ha pensato che quelle radici volesse tagliarle del tutto; e si è allontanata.
Ora Renzi si trova con un elettorato perplesso per il contenuto di una serie di provvedimenti e lo stile della sua leadership di cui sconcertano l’approccio gladiatorio nei confronti dei critici interni ed esterni, il decisionismo post- craxiano e sbrigativo, e l’eccesso di narrazione enfatica e auto-assolutoria. In linea principio, alcune di queste scelte e posture avrebbero dovuto attrarre i cosiddetti elettori moderati. Ma era un calcolo miope, sia perché i moderati sono pochi, sia perché a destra, più radicale è la proposta (vedi il successo della Lega) maggiore è il consenso. Dovunque, non solo in Italia, le posizioni populiste e identitarie scaldano i cuori e mobilitano le persone. E i moderati si adeguano. L’idea dello sfondamento al centro è figlio di una vecchia visione della politica, e della politica italiana in particolare. Oggi lo spazio politico tra destra e sinistra è diviso in compartimenti stagni, e solo il M5S attraversa questo spazio, perché si colloca, ancora, in un altrove. In questa situazione di rigidità vince lo schieramento che mobilita e porta al voto i propri sostenitori.
Rinnovamento e ringiovanimento del partito sono state le carte vincenti dell’Opa renziana su un Pd frastornato. Poi un certo atteggiamento volitivo e sfrontato, da autentico fiorentino, ha aggiunto quel tanto di plebiscitario che piace sempre — e da sempre — all’opinione pubblica italiana. Il 41% alle europee coronava la cavalcata vincente del leader democrat. Su quel risultato Renzi poteva ridisegnare e rilanciare il partito, magari affidandolo ad altri, e attuare la metamorfosi in uomo di governo, con una squadra all’altezza della sfida. Né l’uno né l’altro degli obiettivi sono stati perseguiti.
Si apre adesso una seconda fase per Renzi: quella di una leadership più inclusiva e dialogica nel processo riformatore. Non è più il tempo della rottamazione: oggi è il tempo del governo, con tutta la gravitas che questo ruolo comporta.