lunedì 1 giugno 2015

Repubblica 1.6.15
Così nell’Ohio d’Italia il premier deve subire la rivincita dei fuoriusciti
di Sebastiano Messina


GENOVA La notte più lunga di Raffaella Paita, la candidata renziana che sembrava destinata a ereditare senza traumi la poltrona da governatore di Claudio Burlando e invece si è ritrovata a inseguire il berlusconiano Giovanni Toti, è cominciata con un exit poll che era un pugno nello stomaco: terza, sorpassata persino dalla rivale grillina. Poi sono arrivate le proiezioni e i primi dati reali, a temperare lo shock, ma il lungo testa a testa è durato fino all’alba, con quella poltrona che ballava tra Renzi e Berlusconi, anche se acciuffarla diventava di ora in ora più difficile.
E così nell’ultima notte di maggio la Liguria è diventata la terra della sfida decisiva, quella dove il vincitore si aggiudica tutto il piatto. Come l’Ohio — lo Stato americano dove vive solo il 4 per cento degli americani eppure da quarant’anni è lo «swing state», quello che garantisce la Casa bianca al candidato che riesce a conquistarlo — la dodicesima regione italiana ha scoperto di essere il campo di battaglia dove si giocava la vittoria o la sconfitta di Matteo Renzi.
I genovesi lo sospettavano già da un paio di settimane, vedendo arrivare qui uno dopo l’altro il presidente del Consiglio — che ha fatto anche il bis — le sue ministre e persino il tandem Bersani-Speranza, mentre Salvini faceva la spola dal Levante al Ponente gridando contro l’invasione dei “clandestini”. Ne hanno avuto la conferma ieri sera, quando hanno assistito a un’invasione di telecamere e reporter, e hanno visto arrivare davanti al Palazzo ducale sei grossi furgoni colorati con i trasmettitori parabolici che segnalavano un’imminente diretta televisiva nazionale.
Il quartier generale del Pd ligure è rimasto a lungo in stato confusionale, dopo la batosta degli exit poll di Mentana, e la Paita ha rinviato di ora in ora — aspettando risultati più certi e sperando in cifre meno amare — il suo commento alle proiezioni. Lei sapeva già che avrebbe pagato, nelle urne, la doppia frattura nel Pd ligure. La prima, a gennaio, quando vinse le primarie con un ampio margine — 29 mila voti contro 25 mila — contro Sergio Cofferati, che abbandonò il Pd gridando contro i brogli che avrebbero inquinato quelle votazioni. La seconda due mesi dopo, quando il deputato Luca Pastorino si è dimesso dal partito per candidarsi. Contro la Paita, con l’appoggio di Cofferati, di Nichi Vendola e di Pippo Civati. Dopo aver perso l’ala destra della coalizione che cinque anni fa aveva portato Burlando al 52 per cento — l’Udc, allora alleata del Pd, stavolta è passata sul fronte opposto — la Paita ha così affrontato le urne senza neanche l’ala sinistra: sulla carta, partiva con il 7,8 per cento in meno del suo predecessore, ma dalle urne è uscito un risultato ancora più severo, reso bruciante dalla constatazione che nel Pd c’è chi ha votato il partito ma non la candidata. Il momento che tutti aspettavano, quello della resa dei conti, alla fine è arrivato.
L’uomo più felice di Genova ieri sera era così Giovanni Toti, che ritrovandosi contro ogni pronostico in testa alle proiezioni si è incollato alla tv, nella sua suite dell’hotel Bristol. Berlusconi si è speso fino all’ultimo giorno per sostenere il suo “consigliere politico”: ieri è tornato qui, accompagnato dalla Pascale, per pranzare con Toti e signora alla “Lucerna di ferro”, davanti al mare di Bocca di Magra. E mentre sorseggiavano un vermentino fresco e profumato, il presidente e il suo consigliere provavano a sommare il 29 per cento di cinque anni fa al 10 per cento della Lega e al 4 per cento dei centristi, assaporando il sogno di espugnare questa regione rossa, la patria dei camalli diventata avamposto del renzismo.
In realtà, dietro il risultato di Toti c’è stato soprattutto l’exploit della Lega, che appena un anno fa si era fermata a un modesto 5,6 per cento e ora naviga intorno al 20, doppiando Forza Italia. Pochi in città immaginavano che i mugugni delle signore genovesi davanti ai venditori abusivi di griffes taroccate che hanno invaso il porto vecchio avrebbero fatto soffiare così forte il vento nelle vele di Salvini. Ma è andata così, e ora la differenza tra i voti di Toti e quelli della sua coalizione ha sparso rapidamente il sospetto che qualcuno abbia dato ordine di sfruttare il voto disgiunto — mettendo la croce sul simbolo della Lega ma non su quello del candidato presidente — per tradire l’alleato berlusconiano puntando sul sorpasso di Salvini.
I grillini per un momento hanno assaporato il gusto della rivincita. Quando gli exit poll le hanno dato la speranza di farcela, Alice Salvatore stava telefonando a chissà chi, e passeggiava nervosamente davanti al ristorante «La forchetta curiosa», per una notte sede del Movimento 5 Stelle. Circondata da una dozzina scarsa di militanti, «perché gli altri sono tutti ai seggi, a lavurà», lei si è aggrappata alla prudenza: «E’ ancora tutto da decidere, non possiamo giocare con i numeri, aspettiamo i risultati finali ». Qui, nella patria del grillismo, il loro leader cercava la rivincita delle europee, quando dovette incassare un bruciante distacco di 11 punti. Stavolta contava sulle divisioni della sinistra, per sorpassare Renzi nell’Ohio italiano, e prima del comizio finale in piazza De Ferrari l’ex comico non ha esitato a indossare la divisa da cameriere, servendo ai tavoli del ristorante “Il veliero”, per conquistare i preziosi voti degli indecisi. Non sono bastati.