Repubblica 1.6.15
La minoranza attacca “Senza sinistra si perde partito da rifare ora Renzi ci ascolti”
Bersani: “Certo non è colpa mia, ho sostenuto Paita” Civati: “Pierluigi chiede dove vado? Lui dove resta?”
di Goffredo De Marchis
ROMA «Una vittoria senza avversari dove si è vinto. Una sconfitta brutta lì dove si è consumato lo strappo a sinistra». È il mantra della minoranza del Pd di fronte alle prime sezioni scrutinate che disegnano un esito in bilico fra il 5 a 2 e il 4 a 3 per Renzi e il Pd. Con la ferita devastante della Liguria. E quella rischiata in Umbria e possibile in Campania. Senza avversari in Puglia invece dove il centrodestra è andato in frantumi, o nelle Marche o in Toscana. L’obiettivo, in parte raggiunto, è dimostrare che c’è ancora bisogno della sinistra nel Partito democratico, delle sue idee, dei suoi valori che non possono sopravvivere nel Partito della Nazione. E che i candidati sono stati sbagliati, che i profili etici contano, che le riforme renziane non hanno attecchito nel corpo elettorale. Né uscito ammaccato in particolare il Renzi segretario del partito. Come dimostrerà, dicono, l’esito della Puglia per esempio. Il Pd si fermerebbe intorno al 17-18 per cento, risucchiato dalle liste del governatore.
Si sono lasciati voti per strada, quindi. «Faremo l’analisi del voto con calma. Andando a vedere i dati dell’affluenza e confrontando il risultato del Pd non solo con le Europee ma anche con le regionali del 2010», dice il bersaniano Alfredo D’Attorre. Quando alla guida di Largo del Nazareno c’era Pier Luigi Bersani. «Ho fatto bene a farmi la foto con la Paita — scherza ora l’ex segretario parlando in via riservata con i suoi amici — . Altrimenti i renziani avrebbero dato la colpa a me per la Liguria. Li conosco, mascherine ». Più seriamente l’ex leader si sarebbe confidato con i fedelissimi: «Vediamo bene i numeri. Ma temo che un mondo abbastanza vasto di sinistra che sta smettendo di votare Pd».
Ora che è approvata in via definitiva, occorreva capire quanto Renzi sia in grado di avvicinarsi al 40 per cento, ovvero alla soglia che decreta la vittoria al primo turno con la nuova legge elettorale. Quanto sia in grado di farlo emarginando la sinistra. «C’è una sola regione in cui il centrodestra ha presentato un candidato vero e competitivo. È il Veneto... «, buttà lì D’Attorre. Come dire: se la concorrenza è forte anche il Pd di Renzi rischia qualcosa. Ma nell’Ohio italiano, la Liguria, il risultato sconvolge i piani di Renzi. «Aspetto per dare un giudizio definitivo. Guardo all’affluenza. C’è un’emorragia mostruosa a sinistra, che va in parte all’astensione e in parte rigonfia Grillo, il cui Movimento è sempre andato malissimo alle amministrative », insiste D’Attorre.
Insomma, la linea del premier è sbagliata. Adesso la minoranza sottolineerà l’errore capitale di Renzi, compiuto a più riprese negli ultimi mesi con l’unica eccezione dell’elezione di Sergio Mattarella. «È stata sottovalutata la necessità di tenere unito il Pd», spiega un dirigente dei ribelli. Questo è un punto chiave. Che prefigura le mosse future. Ci vuole un maggior coordinamento tra le varie anime dem, un ascolto diverso da parte del segretario, un diverso approccio rispetto alle ragioni del sindacato e dei ribelli.
Cofferati fa un po’ finta di niente. «Ho sostenuto Pastorino perchè penso che abbia le caratteristiche per fare il governatore, anche se non è stato premiato dagli elettori», ribatte l’eurodeputato. «Io non ho lavorato contro nessuno». Ma aggiunge, battagliero: «Metto in conto che usciranno altri parlamentari. Non cambieranno i rapporti di forza ma c’è un diffuso autolesionismo a sinistra ». La Liguria è stato solo un debutto, un laboratorio per il futuro, al quale hanno già guardato oltre a Cofferati anche Fassina e Civati. E, scopriamo ora, anche parecchi elettori. Civati resta concentrato solo sulla Liguria, guarda al risultato di Luca Pastorino per capire quanto spazio ha la sua creatura fuori dal Pd. «Podemos alle Regionali ha preso l’8 per cento. Il suo vero successo è stato nelle città». Perciò punta gli occhi su Genova e provincia anche se il risultato dice che ciò che sta a sinistra indebolisce ma non sconfigge la forza di Renzi. «Il Pd non è più cosa mia da tre settimane. Il nostro progetto alternativo va avanti. E se Bersani si chiede dove vado io mi chiedo: e lui dove resta? Gli ho mandato un messaggino con questa domanda. Non mi ha ancora risposto».
Secondo Bersani si sta delineando la sua paura, ossia una forza dell’antipolitica che continua a macinare buoni risultati, ora persino nelle amministrative. Per questo la sinistra ricomincerà la sua battaglia da subito per cambiare la buona scuola e la riforma costituzionale, contando adesso su numeri al Senato decisamente più solidi. Ora l’obiettivo è esattamente il contrario di quello auspicato da Sergio Cofferati. È tenere tutti dentro al Pd, cominciando da Stefano Fassina. Perché la battaglia si può fare. Immaginando anche una rivincita, molto più a breve rispetto al congresso del 2017.