Repubblica 19.6.15
L’altro Guccini
Il cantautore stasera su Sky Arte nel programma che racconta il rapporto tra gli italiani e i comics. “Ho molto apprezzato Milo Manara e Andrea Pazienza”
di Gino Castaldo
ROMA PER stanarlo dal suo rigoroso isolamento montanaro, in quel di Pavana, ci vuole il fumetto, antica e mai abbandonata, passione: «Come lettore mi è sempre piaciuto, fin da ragazzino. Adoravo e adoro il Paperino di Carl Barks». Francesco Guccini parla da lì, dalle lievi montagne dell’Appennino che separa Pistoia da Bologna, dove da anni risiede, disposto perfino a parlare con i viandanti “gucciniani” che di tanto in tanto si spingono fin lassù e bussano alla sua porta. Di storie disegnate parla nel documentario
Gli italiani e il fumetto di Paolo Caredda (in onda questa sera alle 21.10 su Sky Arte).
Quand’è che il fumetto è diventato più che una semplice passione?
«Credo che l’idea nacque nell’agosto del 1969. Con Bonvi eravamo amici da tempo, amici di strada, lui voleva solo disegnare e in particolare gli piaceva disegnare soldati tedeschi, da cui poi s’inventò la satira di Sturmtruppen .
Mi chiamò dicendo che aveva grandi idee. Insieme pensammo una storia di fantascienza: s’intitolava Storia dello spazio profondo ;
l’eroe era lo stesso Bonvi che si autodisegnava, bello, biondo, io ero il robottino, un po’ sfigato».
Poi ha continuato...
«Sì, come sceneggiatore ho lavorato con Francesco Rubino, era una storia su un brigante di Arezzo poi ho scritto qualcosa per Magnus. Ma soprattutto sono stato un lettore, ho amato Manara, Andrea Pazienza, che ho frequentato soprattutto nel suo periodo bolognese, i francesi, Hugo Pratt».
Pratt l’ha conosciuto?
«Sì, l’ho conosciuto a un complenano di Bonvi, ricordo che ci sorprese perché suonava e cantava piuttosto bene, soprattutto roba argentina, che era la sua grande passione».
C’è qualcosa che rimpiange di quell’epoca del fumetto?
«Beh, sicuramente è stato un periodo magnifico, ma anche di grande successo popolare, c’erano tante riviste che si occupavano di fumetti. Oggi ne vedo ancora di tanto in tanto, ma ho anche difficoltà di lettura. Posseggo un attrezzo speciale per aiutarmi a leggere, un aggeggio che mi ingrandisce le cose e le proietta su uno schermo».
Siamo rimasti stupiti dal sentire la sua voce nel pezzo di Samuele Bersani, visto che si era completamente ritirato dalle attività musicali...
«Ma era una piccola cosa, una sola frase, ho accettato perché mi piaceva l’iniziativa, una canzone pensata per invitare a leggere di più. Come potevo rifiutarmi?».
Cosa la diverte oggi?
«Le stesse cose di prima, con tutti i limiti dell’età: leggere e scrivere, andare in giro in montagna, anche se è un peccato che piova sempre, le cene con gli amici, ma non gioco più a carte, e non faccio più tardi come prima».
E non le manca il lavoro musicale: dischi, concerti...?
«No, casomai mi mancano i musicisti, il prima e dopo i concerti. I concerti in sé non mi mancano, erano belli ma faticosi. E poi negli ultimi anni mi ero messo a farli in piedi, una fatica tremenda».
Strano, da un certo punto di vista. Da giovane li faceva seduto, poi in età più avanzata in piedi. Come mai?
«A quei tempi erano concerti più piccoli, c’era più rapporto con quelli che avevi davanti, era più conviviale, parlavo, raccontavo, bevevo vino, spesso sul palco ero solo, al massimo con un altro chitarrista. Poi con la band mi veniva spontaneo stare in piedi, e in effetti si canta meglio».
Ha mantenuto contatti coi suoi colleghi?
«Non molti. Ogni tanto vedo Zucchero o Ligabue, ma per rapporti d’amicizia, non per lavoro. Vengono a Pavana a trovarmi, raramente mi muovo io. Zucchero sono andato a trovarlo nella sua tenuta, una campagna fantastica».
Dal suo rifugio di Pavana deve fare uno strano effetto sentire la musica che gira intorno. Ne ascolta?
«Praticamente mai. Qualche volta mia moglie mette un disco in macchina, e mi dà quasi fastidio. Non suono neanche più. L’altro giorno al lago ho preso in mano la chitarra ma non ho più i calli alle dita. Diciamo che adesso scrivo... ».