mercoledì 17 giugno 2015

Repubblica 17.6.15
L’Europa senza Fraternité
di Bernardo Valli


I VAGONI diretti a Porte de la Chapelle passavano sull’accampamento sorto in una notte al riparo della ferrovia soprelevata. Era come un frammento d’Africa nel cuore della metropoli.
A DUE passi dai sexyshop di Pigalle e sul percorso che si fa per raggiungere il Charles de Gaulle, l’aeroporto internazionale a Nord della capitale. Sotto teloni rappezzati e scoloriti si muovevano lenti uomini a torso nudo, donne col capo avvolto in foulards islamici, e bambini coperti di stracci assiepati attorno a bracieri fumanti come piccoli incendi. Alle famiglie eritree, somale, sudanesi il continuo brontolio della metropolitana sulle loro teste doveva sembrare il tuono di un temporale ininterrotto riservato a loro. Perché sporgendosi dall’ombra del tetto rumoroso scoprivano che sul traffico parigino brillava un sole quasi estivo. E se si fossero inoltrati nel quartiere, fin dove c’è il Moulin Rouge, avrebbero visto esposti in vetrina gli ultimi ritrovati dell’erotismo destinati ai turisti arrivati o in arrivo dal resto dell’Europa con colonne di pullman. Ma nessuno osava muoversi da quella tana, che era un’insperata oasi, raggiunta chissà con quali peripezie. Purtroppo effimera.
Non abito molto lontano da quel luogo e comunque mi capita di passarci per andare a prendere un aereo. E lunedì, 8 giugno, ho scoperto che come era comparso miracolosamente quel villaggio africano è scomparso miracolosamente. Poliziotti in divisa, alcuni accompagnati da cani al guinzaglio, presidiano la zona. Le autorità francesi hanno esitato prima di decidere lo sgombero. Non è stato uno spettacolo edificante offerto dal governo socialista. Il timore di dover affrontare altri casi del genere ha probabilmente contato sulla fermezza di Ventimiglia. L’ apertura di quella frontiera agli immigrati potrebbe provocare altre situazioni del genere a Parigi o in altre città di Francia. I sudanesi, gli eritrei, i somali erano scampati alle tempeste mediterranee e alle brutalità degli equipaggi, e avevano risalito la Penisola prima di approdare sotto il metro’ di Porte de la Chapelle. Lo sguardo della città non è più turbato da quello spettacolo, anche se non molto lontano, nello stesso arrondissement, di fronte ai Jardins d’Eol, si è ricreato un nuovo villaggio africano. Ma al contrario di quello di Porte de la Chapelle, esso è fuori dal percorso di autorità e turisti diretti in questi giorni al Bourget, dove l’industria aeronautica internazionale mostra le sue ultime creazioni, in particolare gli aerei da caccia francesi di cui i paesi in guerra sono particolarmente ghiotti.
Quelle immagini, simili, senza troppo varianti, si ritrovano a Ventimiglia, in alcune stazioni italiane, a Lampedusa certo, e in altri angoli europei di confine (Calais, di fronte all’Inghilterra, è una località ormai leggendaria nella storia dell’immigrazione clandestina): ed esse sono le gocce della miseria che traboccano dai conflitti o dalle crisi nelle regioni più o meno vicine a noi. L’ Europa, non solo lei, alimenta quelle crisi e quei conflitti vendendo armi, a governi che giudica per interesse giusti ma che giusti non sono. La propria agitata morale va calmata ripetendosi che comunque se non fosse lei, l’Europa, a vendere le armi altri se ne occuperebbero. In certe occasioni si azzardano propositi troppo candidi. Ma inevitabili: si spacciano armi ma le vittime sono sgradite.
La nostra Europa è stata nella prima metà del secolo scorso un ineguagliabile campione di stermini. Da settant’anni non conosce tuttavia vere guerre. Quelle vittime di drammi che si svolgono altrove, e che cercano un aiuto o un rifugio da noi, impongono l’applicazione dei nobili principi su cui è nata l’Unione. Ed infatti essi sono citati e proclamati dai nostri governanti, paladini della solidarietà. Ma al tempo stesso quegli stessi governanti non esitano ad accendere polemiche sulla spartizione degli immigrati arrivati dal Mediterraneo. Litigano se non proprio si accapigliano. Incalzati dalle ondate populiste che sollecitano le paure degli elettori presentando l’arrivo dei profughi come un’invasione, si accusano a vicenda. L’Italia rimprovera in sostanza alla Francia di non rispettare la fraternité di cui si dichiara la più zelante promotrice. La Francia all’Italia di essere poco realista e scarsamente organizzata. Le sensibilità nazionaliste affiorano. Il governatore di una regione italiana, la Lombardia, pensando di interpretare i pensieri del suoi elettori incalzati dai fantasmi dell’immigrazione, ha persino esortato a sparare se necessario. La Storia recente non ha insegnato che il razzismo è un ‘ infamia.
Su alcune decine di migliaia di profughi che chiedono aiuto l’Europa si gioca l’anima. Un’Unione più salda, federale, capace di prendere decisioni politiche comuni potrebbe assolvere con dignità quel che i suoi principi gli impongono. È in questi momenti che con più Europa si possono salvare valori che fanno la nostra identità.