Repubblica 14.6.15
Marek Halter
“Oggi il problema non è più redistribuire i disperati alle frontiere ma pensare ai milioni che seguiranno”
“L’Occidente risponde solo con rifiuti ma le diseguaglianze le abbiamo create noi”
“Dovremmo tutti farci una domanda: saremmo pronti ad accogliere una famiglia di rifugiati?”
intervista di Anais Ginori
PARIGI «FUORI da una chiesa, quante persone si fermano per dare una moneta al mendicante? Pochissime. Eppure sarebbe un dovere prescritto in tutte le religioni, anche nell’Islam. Allo stesso modo, i governi si sottraggono alla loro responsabilità morale: non esiste una legge che obbliga a essere generosi». Lo scrittore francese Marek Halter ha vissuto per dieci anni come ebreo polacco sans papiers e poi trent’anni da rifugiato politico. «Porto con me la memoria delle mie origini. Ma non voglio essere un demagogo, né un sognatore », avverte. «L’immigrazione è un tema sul quale anche noi intellettuali dobbiamo provare a ragione in modo pratico».
Cosa pensa di due paesi europei che si rimpallano migranti al confine, come accade in queste ore a Ventimiglia?
«Non è un bello spettacolo ma il governo francese non lo fa per ragioni ideologiche. È sotto pressione dell’opinione pubblica che ha paura. Dagli anni ‘60 agli anni ‘90 l’Europa viveva in una relativa tranquillità sociale. La Francia ha accolto più di un milione di francesi di Algeria. Oggi non sarebbe più possibile. C’è la crisi, esistono tre milioni di disoccupati che vivono con i sussidi. Come può reagire un francese, o un italiano, che ha paura per l’avvenire dei suoi figli vedendo arrivare migliaia di migranti?».
Si può sconfiggere il discorso della paura?
«Dovremmo tutti farci una domanda: sono pronto ad accogliere una famiglia di rifugiati a casa mia? Io lo farei, perché mi ricordo nel 1938 quando Hitler non aveva ancora deciso di massacrare tutti gli ebrei ma voleva già sbarazzarsene. Ci fu la conferenza internazionale di Evian per sapere quali paesi erano disposti ad accogliere ebrei. La sola nazione che ha risposto positivamente è stata la Repubblica Dominicana. In fondo oggi accade la stessa cosa. La reazione dei governi a Bruxelles, davanti al piano della Commissione che prevede la redistribuzione dei rifugiati, è stata la stessa di Evian: una serie di rifiuti».
Il ruolo di chi governa non dovrebbe essere proprio affrontare con lucidità emergenze come queste?
«Oggi il problema non è più redistribuire i migranti che sono a Calais o Lampedusa. Bisogna pensare ai milioni che seguiranno. Dobbiamo essere capaci di immaginare una soluzione globale per l’Africa. Abbiamo lasciato che la miseria devastasse un continente e ne paghiamo le conseguenze». Si può trovare un’alternativa alla retorica del ritorno delle frontiere?
«Come aveva già previsto Karl Marx, il mondo è diventato uno. Ma dentro a questo mondo abbiamo creato delle disuguaglianze sociali ed economiche immense. La redistribuzione della ricchezza si fa attraverso ondate di immigrazione non controllata anche se prevedibile. Ho parlato qualche giorno fa con il presidente del Congo. Proponeva di riunire alcuni paesi africani per creare in Libia una zona sicura nella quale accogliere i rifugiati. Non sono sicuro che sia una buona idea. Ma bisogna ragionare su piccoli passi».
I campi di migranti evacuati nelle capitali, i piani Ue rifiutati, i muri anti-migranti ai confini. Qual è la differenza tra sinistra e destra sull’immigrazione?
«Magari non nelle azioni, ma almeno nelle parole. La destra non ha bisogno di trovare giustificazioni morali. La sinistra è costretta a fare dei gesti. La Francia è pronta a mandare coperte e cibo per dei migranti a patto che rimangano in Italia. Se il governo decidesse di aprire la frontiera a Ventimiglia, sa con matematica certezza che perderebbe le elezioni. E comunque la questione è complessa. Anne Hidalgo (sindaco socialista di Parigi, ndr ) ha chiesto di aprire un centro in cui accogliere i migranti. Ma per quanto tempo, e chi penserà al loro futuro? Non si tratta solo di accoglierli, bisogna anche sapere come integrarli nella società. Sono dilemmi umani che esistono dalla notte dei tempi. Caino si domanda se deve essere il guardiano di suo fratello. Di sicuro non deve essere il suo genitore ».
Perché si sente così poco la voce degli intellettuali?
«Prima erano battaglie politiche: dovevamo salvare vittime dei gulag, del regime in Cambogia o dell’apartheid in Sudafrica. Era facile. Si lanciavano campagne di boicottaggio, petizioni e manifestazioni. Erano battaglie da fare per persone che volevano la libertà. Oggi ci troviamo in una situazione imprevista: dobbiamo immaginare la condivisione della ricchezza del mondo. Certo, potremmo organizzare una manifestazione di solidarietà con i migranti a Ventimiglia. Ma sarebbe solo per darci una buona coscienza».