giovedì 11 giugno 2015

Repubblica 11.6.15
Voci di regime, Guido Notari
Dal duce alla Dc ecco a voi la voce del padrone
Un documentario ricostruisce la storia di Guido Notari, speaker prima dell’Eiar e poi dei cinegiornali
di Simonetta Fiori


Notari continuerà a essere il lettore principale de “la settimana Incom”, il cinegiornale della Dc. Registra millecinquecento numeri, il 1501 contiene il suo necrologio. Guido è sempre una voce nota, ma non è più la Voce. La sua vocalità paternalistica e autoritaria non regge alla nascita del piccolo schermo e all’everyman televisivo di Mike Bongiorno. Muore improvvisamente il 21 gennaio del 1957, a 63 anni. Il referto medico parla di infarto, ma a ucciderlo probabilmente è il successo di Lascia o raddoppia .

LA VOCE del potere ha una tonalità anonima, facilmente adattabile. Mutevole come quella di Zelig, prensile e metamorfica sul piano timbrico, perché niente è più fluido di un equilibrio politico. Quella di Guido Notari fu vibrante e maschia sotto il fascismo, ispirata e liturgica al servizio di Pio XII, bonariamente nazionalpopolare nel dopoguerra democristiano. Cambiò tutto (o quasi) nell’Italia tra gli anni Trenta e Cinquanta, ma non la voce di Notari, di professione annunciatore di regime, migliaia e migliaia di ore di trasmissione prima al giornale radio dell’Eiar, poi al cinegiornale Luce e infine alla Settimana Incom. Una sonorità proteiforme che è anche metafora della continuità italiana e dell’eterno trasformismo.
La straordinaria vicenda di Notari è rimasta a lungo nell’ombra, come forse è il destino di una voce. «Una storia tra fama e oblio che evoca quelle “vite immaginarie” amate da Borges», rileva Enrico Menduni, autore del bel documentario L’ultima voce prodotto da Istituto Luce Cinecittà e selezionato per il Festival di Taormina (stasera l’anteprima a Roma nella sede Rai di via Asiago). Per la prima volta, grazie alla ricerca documentale condotta con Giorgio Zanchini, vengono restituiti un volto e una fisicità alla colonna sonora presente nelle teste degli italiani per almeno una trentina d’anni. Una stessa voce dai fasti del regime all’annuncio del boom. Ma la stagione di maggior successo o meglio di totale monopolio fu quella in camicia nera, nella crescita del consenso tra il 1936 e il 1939. Nessuno come Notari sapeva dar vita alle grandi adunate e alle conquiste imperiali alternando accenti marziali e toni suadenti. Era l’unico che potesse dividere la scena con Mussolini, per questo corteggiato e conteso tra i suoi maggiori organi di propaganda.
Aveva quasi quarant’anni, dunque non giovanissimo, quando fu notato a Milano da un dirigente dell’Eiar per il suo particolare timbro vocale. Notari era responsabile dell’Ufficio Pubblicità alla Rinascente, ma non gli sembrò vero nel 1931 trasferirsi al giornale radio. Profilo apollineo e fisico slanciato, aveva anche il pregio di essere un bell’uomo. Il suo arrivo alla radio segnò una svolta importantissima, ossia la virilizzazione delle voci radiofoniche. Prima di lui la radio era la radia, come diceva Marinetti. Le notizie venivano lette solo da annunciatrici donne, e questo a Mussolini dovette apparire intollerabile. In un mondo che scopriva il sonoro, poteva il regime più maschio del mondo avere una vocalità femminile? Notari capitò nel posto giusto al momento giusto. Anche per una qualità che certo non sfuggì ai suoi superiori: la sua voce spicca per la capacità di adattarsi a tutte le circostante, tragiche o festose. La sua timbrica e il ritmo hanno un sottofondo anonimo che è prezioso per le esigenze della propaganda. Plastilina di suoni nelle dita dei gerarchi.
Nel 1935 l’Italia dichiara guerra all’Etiopia. Serve un rullo di notizie tambureggiante, una voce che partecipi agli eventi bellici con gravità ed emozione. Per Guido un’occasione di carriera. Viene chiamato alla direzione centrale del giornale radio, a Roma, dove acquista una bella casa vicino all’Eiar. Le guerre sono ribalte preziose, lo sarà presto anche la campagna militare in Spagna, contrassegnata dal vibrante sdegno di Notari per la “ferocia dei rossi”. Al confronto della sua, la voce degli altri speaker scompare o — peggio — viene ridicolizzata. Se ne accorge Luigi Freddi, il potente direttore della cinematografia che la impone sia nei cinegiornali dell’Istituto Luce sia nei documentari della nascente Incom: nel giro di pochi mesi Guido diventa ubiquo, la sua voce risuona nelle piazze d’Italia, al cinema e in casa.
È sua la cronaca radiofonica che ossessiona Mastroianni e la Loren in
Una giornata particolare . È il 6 maggio del 1938, la capitale si veste a festa per la visita di Hitler e naturalmente è Guido l’annunciatore prescelto. Scola quasi lo promuove a terzo protagonista. «Allora questo è un vostro collega », dice la Loren a Mastroianni, che è uno speaker gay. «Sì, è Notari», risponde l’attore. «Ma lui è bravo, non gli scappa mai da ridere». È la voce di uno che ci crede, o così dà a vedere.
In questi stessi anni Guido scopre anche il doppiaggio e la recitazione, alternando pellicole d’evasione con film di guerra. Portamento elegante, indossa molto bene le divise. Nel Podestà di Bengasi, interpreta il boss locale con pose e toni mussoliniani: straordinario nell’imitarne anche le spezzature di voce.
È uno che sa osservare, Guido. Un camaleonte nato. Non lo coglie di sorpresa il crollo del regime, nell’estate del 1943. Non è lui lo speaker che accompagna il 25 luglio. Da un po’ di tempo non lo si sente più, né nei cinegiornali Luce né alla Incom. Fa le sue cose a Cinecittà, ma sembra appartato. In realtà è impegnato oltre Tevere, presso il centro cinematografico vaticano. La sua voce riappare a sorpresa nel Pastor Angelicus, un documentario su Pio XII girato nel 1942. Non sembra lui: una vocalità ispirata e cantilenante, profumata di incenso, quasi a rimarcare una convinta adesione ai valori cattolici. Guido si prepara al dopoguerra.
Nel biennio insanguinato della guerra civile si perdono le sue tracce: sicuramente non aderisce a Salò, ma certo non sale in montagna. Dopo un lungo silenzio, terminato il conflitto, lo ritroviamo in un documentario dedicato alla Resistenza: nel frattempo la Incom è diventata democristiana e Guido si appresta a servire i nuovi potenti, irridendo la famiglia Petacci e le manie del duce. Alla rigidità dello stile littorio subentra un tono gioviale e disinvolto, a tratti sfrontato. Ma quando deve magnificare le gambe delle donne, non gli riesce bene. Il sorriso un po’ forzato, il tono vezzoso. Mai come in queste scene il simbolo della virilità fascista tradisce qualche incertezza.