mercoledì 10 giugno 2015

Repubblica 10.6.15
Donne lapidate e aule deserte la vita a Mosul sotto il Califfato
Gli orrori dell’Is a un anno dalla conquista della città irachena in un documentario della “Bbc”
di Vittorio Zucconi


CAPITALE e vetrina dello Stato Islamico da un anno, la città di Mosul in Iraq spalanca le finestre sulla realtà del nuovo Califfato ed è subito vertigine di nausea e orrore. Una popolazione ormai prigioniera dei “liberatori”, come si immaginano di essere e alcuni anche in Occidente credono che siano, riesce a inviare attraverso la Bbc, a rischio della propria vita, una serie di cartoline dall’abisso della vita quotidiana in una città di dementi fanatici che puniscono a frustrate le donne colpevoli di non indossare guanti. E di mostrare quindi le mani nude.
Queste, che alcuni improvvisati reporter sono riusciti a passare di mano in mano fino a raggiungere la Bbc, sono immagini da un gulag di sabbia, da un lager del nuovo nazismo sotto le bandiere nere dell’Is dove ogni infrazione al codice di comportamento, inventato dal Califfo interpretando a propria voluttà il Corano e imposto dai suoi scherani, può portare davanti al boia a completa discrezione dei militanti carcerieri. Le donne, raccontano i testimoni che sono riusciti a contrabbandare parole e immagini, sono sempre il massimo obbiettivo dei “liberatori”: le adultere, per esempio, lapidate a morte. Ai maschi “immorali”, adulteri od omosessuali, è concessa la grazia di un’esecuzione più rapida e indolore, buttati giù dal tetto degli edifici.
È il “sequel” di un film purtroppo molto vecchio, cominciato ben prima che arrivassero i registi di Al Baghdadi a girare questi spezzoni, nel crogiolo infernale di una città con una storia nobile e antica e cruente. Sta poggiata sulle rive del Tigri davanti alla biblica Ninive, sacra a molte religioni, cimitero di santi e di profeti dell’Antico Testamento come Giona, luogo di scambi di culture e di merci preziose in transito dall’Oriente, come il tessuto che da essa prese il nome, la “mussolina”. Ma onda dopo onda, marea dopo marea, conquistatori e “liberatori” via via più crudeli, ottomani, inglesi, petrolieri, i sunniti di Saddam Hussein, gli stolti “esportatori della democrazia” mandati da Bush, i vendicativi sciiti spinti al potere a Bagdad, ora gli islamisti dell’Is l’hanno ridotta al lager che la Bbc riesce a mostrarci. Qui, nel preludio al crepuscolo del tiranno, si rifugiarono, per essere uccisi ed esibiti come trofei di caccia dagli altri liberatori, gli americani, i due figli maschi di Saddam. Le donne, narra Hana in un video, possono uscire di casa soltanto se accompagnate da un uomo di famiglia, avvolte nel lungo bozzolo sempre nero del khimar che copre tutto dai capelli ai piedi, ma lascia vergognosamente scoperto il volto. Peccato imperdonabile, da punire subito a frustate, se il viso non è fasciato dal niqab e se la donna non è completamente chiusa nella stia di tessuto del burqa. Mariam, ostetrica ginecologa laureata nell’Università che nel 1967 proprio a Mosul era stata aperta, cristiana come rivela il suo nome che è quello di Maria di Gesù in aramaico, aveva tentato di praticare la propria professione fino alla primavera del 2014, ma, all’avvicinarsi dell’Is, è riuscita a fuggire appena in tempo, lasciando la casa e le biblioteca che aveva ereditato e costruito. Casa che, come tutte le abitazioni dei 60mila cristiani di confessione nestoriana fuggiti, cacciati o uccisi a Mosul, è stata saccheggiata, devastata e ora sta marcata con la lettera “N”, l’iniziale di “Nasrani”, cristiani, da Nazareth.
Oltre il fiume, e le dighe contese fra l’Is e la parodia di esercito ufficiale iracheno, in una base militare già di Saddam e ora in rovina, ipotetici reparti di Baghdad millantano di una imminente “grande offensiva” per riprendere Mosul, assicurare l’irrigazione di tutta la regione e liberare la città dai liberatori che la liberarono dai liberatori americani, nella spirale continua di guerre senza fine e senza senso. Apparentemente insensate anche per chi le volle, come Donald “Rummy” Rumsfeld, il totem guerriero dei neo-con bushisti che due giorni or sono ha am- messo che «esportare la democrazia in Iraq era impossibile». Dodici anni, e centinaia di migliaia di morti, troppo tardi.
Ma l’immaginaria offensiva per togliere all’Is Mosul, i suoi pozzi, le raffinerie, i nodi stradali, le chiuse dei canali, non arriverà mai. Anche i prigionieri del gulag islamico sono pessimisti. Racconta un altro testimone: «Gli uomini del Califfato hanno cosparso le strade di mine, hanno cecchini nei punti più elevati e anche per un esercito addestrato e motivato, il combattimento urbano, strada per strada è sempre difficilissimo». Se poi arrivassero e sloggiassero i sunniti dell’Is, le vendette, i soprusi, le violenze dei miliiziani sciiti che di fatto sono il cosiddetto esercito regolare armato dagli americani «potrebbero essere anche peggiori». Altre liberazioni. Altri tormenti.
Peggiore è un aggettivo che sbalordisce, vedendo i funghi di polvere e di esplosioni che si levano dalle moschee fatte saltare perché ospitavano musulmani non abbastanza in linea con il verbo del Califfo. O guardando le aule deserte, di scuole chiuse perché vi si insegnavano materie blasfeme come la storia, la matematica, la geografia, il parco di Ninive desertificato dall’abbattimento di alberi abbattuti per farne legna da ardere, supremo paradosso in una città poggiata sopra pozzi di petrolio. Ascoltando il bambino di 12 anni fuggito dalla scuola autorizzata dall’Is perché sorpreso a parlare con amici non del tutto affidabili e che ora sta a casa con i suoi tremando al pensiero che qualcuno di loro bussi alla porta. Anna Frank in Iraq.
Mosul, vista da queste sequenze, è più di una città morta, è una città di morti viventi, sospesa nel silenzio delle comunicazioni e dei collegamenti, con un milione di abitanti costretti a vedere soltanto quello che la propaganda video mostra loro, negli appositi “Centri di Comunicazione” approntati dai carcerieri attraverso Internet e i siti, i blog, i video autorizzati. Un crescendo finale tra YouTube e le lapidazioni che riassume Stalin, Hitler, Orwell, Zuckerberg, Jobs e Gates, nell’apoteosi allucinata di un futuro medioevo high-tech.