La Stampa TuttoScienze 17.6.15
Sei contrario alla sperimentazione con gli animali?
Forse non hai tenuto conto di alcune semplici verità
di Gilberto Corbellini
Chi in Italia è contrario all’uso dei modelli animali nella ricerca biomedica dovrebbe avere il coraggio di dire che non gliene importa niente se dovessero tornare a morire i bambini per malattie infettive, se i malati perderanno ogni speranza di cura e se i farmaci saranno meno accessibili a causa degli ulteriori divieti che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2017.
Invece, tocca ascoltare le sciocchezze per cui i modelli animali sarebbero inutili, che esistono metodi alternativi, che gli animali hanno una coscienza complessa. Potrà anche darsi che accada come per la legge voluta dal maresciallo nazista Herman Göring, che nel 1933 impose nel Terzo Reich drastici divieti all’uso di animali per la ricerca medica, dato che quei sociopatici già contavano di usare cavie umane. Divieti che furono poi via via ripensati e soprattutto poco applicati. Quindi, forse, avremo l’ennesima legge sbagliata, di cui nessuno si occuperà di controllare l’applicazione o che porterà a una sanzione comunitaria per aver recepito la Direttiva Ue 2010/63, introducendo divieti illegittimi.
Si dovrebbe fare qualcosa per impedire lo scempio di una legge dannosissima. Sta di fatto che l’Italia è il Paese messo peggio in Europa per attivismo pseudoanimalista. Il numero di cittadini che hanno sottoscritto l’iniziativa «Stop Vivisection», respinta nelle settimane scorse dalla Commissione Europea, è impressionante: quasi 700 mila, cioè più della metà dei firmatari a livello europeo. Come mai numeri così ingenti in Italia? Un segno di arretratezza culturale e civile? Non è escluso. In realtà, i dati (Eurispes, Eurobarometro, Pagnoncelli) dicono che non siamo il Paese più avverso alla sperimentazione animale. Non siamo così largamente favorevoli come in Spagna, ma una buona maggioranza sostiene l’uso dei topi e in generale ritiene che la sperimentazione animale sia giustificata se e quando serve a trovare nuove cure. Il fatto è che i talebani contrari alla sperimentazione animale sono efficaci: hanno numerosi aderenti a livello parlamentare, arrivano più facilmente ai media e hanno supporto da parte di una fiorente economia che trae profitto dalla domanda di prodotti per animali. Sono quasi 30 milioni gli italiani che hanno in casa un animale domestico e il business cresce: solo per il cibo si spendono 2 miliardi l’anno.
La Commissione Europea ha risposto alla petizione per vietare completamente la sperimentazione animale dicendo cose anche un po’ insensate. Per esempio che l’obiettivo sul lungo periodo sarebbe l’eliminazione della sperimentazione animale: si tratta di un’affermazione gratuita ed epistemologicamente campata in aria. Che fare allora? Gli inglesi lavorano per rispondere a questa domanda da anni, constatando che, se da una lato sono maggioritari anche in Gran Bretagna coloro che sono favorevoli alla sperimentazione animale, persiste un’ampia fascia di avversione per l’uso dei modelli animali nella ricerca. Ricordiamo che quella anglosassone è la tradizione più civile, che ha fatto da battistrada nello sviluppo di legislazioni sensibili verso il benessere animale e responsabili sul piano del benessere umano. Negli ultimi anni gli esperti inglesi hanno prodotto indagini, soprattutto qualitative - perché quelle quantitative sono abbastanza inutili per capire dal di dentro ai fenomeni - da cui emerge che il principale problema tra scienziati e pubblico, in Gran Bretagna, è che non ci si fida dei controlli e si sospetta che gli scienziati abusino e facciano soffrire gli animali nei laboratori. In tal senso è in corso una campagna soprattutto rassicurante da parte di organizzazioni che si occupano di fare una comunicazione efficace sull’argomento e che sia rispettosa di tutte le sensibilità.
Sfortunatamente l’Italia non è la Gran Bretagna e si dovrà cercare una via forse diversa. Domani si terrà all’Università La Sapienza di Roma un convegno organizzato dall’associazione «Spera» e dal Dipartimento di medicina molecolare e intitolato «Conoscere e comunicare i valori della ricerca». Sarà un’occasione per discutere e far comprendere al mondo politico e intellettuale i pericoli di privare il Paese di un’altra condizione imprescindibile di libertà per la ricerca scientifica.