lunedì 8 giugno 2015

La Stampa 8.6.15
Migranti, la sfida delle Regioni
Maroni ai sindaci: se li accogliete vi taglio i fondi.
Ricatti italiani e mancanze europee
di Giovanna Zincone


Il governo Renzi sta finalmente incassando qualche risultato positivo sul piano economico: un avvio di ripresa che si accompagna all’aumento dell’occupazione. Ma questi successi non hanno reso elettoralmente. I crescenti timori degli italiani nei confronti dell’immigrazione e della sicurezza, sempre presenti sullo sfondo, stanno forse superando le preoccupazioni per la crisi. E mentre sul piano economico Renzi ha potuto contare sull’intervento della Bce, sull’emergenza immigrazione l’Ue non aiuta: rischia semmai di aggravare la situazione italiana e di mettere in difficoltà il governo. Inoltre, all’interno del nostro Paese, proprio i territori che lamentano la scarsa solidarietà europea vorrebbero scaricare il peso dell’accoglienza sul Sud e destabilizzare anche con queste sfide il governo.
Gli arrivi fuori controllo sono davvero grandi, però attesi. Si temeva da tempo che il 2015, in assenza di una soluzione della crisi libica, potesse essere peggiore del funesto 2014, quando erano sbarcate in Italia circa 178.000 persone. Il nostro governo aveva già chiesto aiuto all’Europa, non solo per i soccorsi in mare, ma anche per l’accoglienza. Ma la solidarietà dei membri Ue di fronte alle difficoltà che avanzano si ritrae, invece di progredire.
L’aiuto prospettato nella proposta della Commissione parte striminzito: prevede che gli Stati membri si facciano carico soltanto di 24.000 potenziali rifugiati provenienti dall’Italia, e che la cifra vada spalmata su 2 anni. Le nazionalità ammesse sono solo quelle con tassi di accettazione della domanda di protezione internazionale superiori al 70 per cento (i siriani e gli eritrei). Il tutto con ampie zone d’ombra. Chi pagherà i costi del trasporto verso i Paesi dove i 12.000 saranno eventualmente trasferiti? Cosa accadrà a chi non ha diritto all’asilo, dove lo si respinge? Certo non in Libia. E a spese di chi? Si potrebbero trovare spazi per i rifugiati negli Stati sicuri del Nord Africa, che potrebbero essere invogliati da quei 6000 euro promessi ai Paesi membri per ogni rifugiato accolto in base alle quote decise nella redistribuzione. Per ora, per quel che ci riguarda, è stato ribadito che la redistribuzione si tratta di una tantum, il che è un grosso limite.
Ma l’Italia fa molto per peggiorare la già scarsa propensione alla solidarietà dei partner europei. Il ministero dell’Interno ha comunicato che l’accoglienza nel 2014 è costata alle nostre casse 2 milioni al giorno. L’Ue non è stata mai davvero prodiga, ma si è mostrata in genere relativamente meno ostile a fornire aiuti economici, piuttosto che a suddividere il peso dei rifugiati, che ha un maggiore impatto sui territori di accoglienza e quindi sugli elettori. Chiedere almeno un deciso aumento degli aiuti economici è un’ipotesi che potremmo portare al tavolo delle trattative nella riunione dei ministri dell’Interno del 15 giugno. Certo, i troppi mascalzoni che hanno lucrato sul business dell’accoglienza peseranno nel frenare la solidarietà economica da parte dell’Unione. Ma peserà in quell’occasione anche la dimostrazione di scarsa solidarietà che stanno dando alcuni presidenti di Regioni in Italia. In Europa alcuni Stati membri, Francia inclusa, hanno rifiutato il carattere obbligatorio delle quote, ricordando che non è previsto dai trattati, dando tuttavia una disponibilità volontaria: ma in Italia i citati presidenti vorrebbero aggredire persino il sistema di accoglienza nazionale che è su base volontaria. Lo Sprar (Sistema di Protezione per richiedenti Asilo e Rifugiati) prevede infatti che i Comuni possano rispondere volontariamente ai bandi del ministero dell’Interno per l’assegnazione di fondi destinati all’accoglienza dei rifugiati. I Comuni assegnano a loro volta i fondi ai vari enti che si occupano di accogliere materialmente i rifugiati. Che questo possa rivelarsi un business poco pulito lo si sa da tempo: gli scandali romani sono macroscopici, ma non sono purtroppo i primi, né saranno gli ultimi. Ci sono però soprattutto Comuni ed enti seri, che rispondono a un bisogno impellente e reale. Maroni, Zaia, Toti minacciano addirittura di colpire con tagli finanziari i Comuni delle loro regioni disposti ad accogliere rifugiati. Sarebbe l’esercizio di un potere di ricatto che le regioni non possono esercitare. D’altra parte, in caso di emergenza, e qui di emergenza si tratta, il Viminale può scavalcare i Comuni, e rivolgersi alle prefetture che richiedono direttamente la collaborazione degli enti presenti sul territorio, attivando Centri di Accoglienza Straordinaria. I Comuni non vogliono essere scavalcati dai prefetti, ma di fatto questo li solleva dalla responsabilità politica e quindi da possibili contraccolpi elettorali.
Il fatto è che la chiusura nei confronti degli immigrati paga elettoralmente: lo si sta facendo anche in zone prospere, e non solo in Italia. In Austria, in Stiria e in Burgenland, il partito di Haider è arrivato in testa, e i sondaggi lo danno al 28 per cento nelle prossime elezioni. I modelli di comunicazione politica attuali, piaccia o meno, premiano chi adotta stili populisti. Per ora, in Italia, il tanto criticato populismo di Renzi si è dimostrato costruttivo ed è riuscito a tenere almeno in parte a bada il populismo distruttivo dei suoi competitori. Lo ha fatto nonostante le forti difficoltà che gli vengono dall’interno del suo partito. Forse i tifosi di Civati e di Landini non vogliono cogliere il fatto che l’alternativa reale a Renzi non è certo alla sua sinistra, e può avere conseguenze inquietanti, anche sul piano della xenofobia.