domenica 7 giugno 2015

La Stampa 7.6.15
Il Congresso di Vienna
La pace batte la libertà
A duecento anni dall’atto finale con cui le potenze vittoriose cercarono di ripristinare l’ordine distrutto da Napoleone gli storici sfumano il giudizio negativo sulla restaurazione
di Gianni Riotta


Nell’estate 1980, all’Hotel Excelsior di Roma, Jorge Luis Borges e Leonardo Sciascia si incontrano per una discreta conversazione. Rita Cirio, critica de L’Espresso, ricorda come i due scrittori abbiano un dissenso sulla battaglia di Waterloo, 18 giugno 1815. Per Borges, una nonna inglese, la vittoria del Duca di Wellington e del Feldmaresciallo prussiano Gebhard Leberecht von Blücher è positiva per l’ordine e la ragione. Per Sciascia, scettico illuminista, con Napoleone e la Vecchia Guardia viene sconfitta la speranza progressista.
L’Europa del dopo Waterloo è regolata dal Congresso di Vienna, primo incontro mondiale di grandi potenze, che secondo l’ex segretario di Stato Henry Kissinger anticipa «Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite» e assicura pace, stabilità e legittimità, dopo la Rivoluzione francese 1789 e le scorrerie di Napoleone. Per lo storico Adam Zamoyski, invece, il Congresso equivale «all’arresto dell’intera Europa», nega la libertà, blocca le riforme sociali, restaura tratti feudali.
Senza Twitter
L’atto finale del Congresso cade il 9 di giugno del 1815, i lavori erano cominciati a novembre del 1814, si doveva riscrivere la carta politica e dinastica del continente. Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna intendevano far tutto da sole, relegando a un simbolico ruolo le potenze minori, ma Svezia, Spagna, Portogallo e Francia dei redivivi Borboni – gli «otto» membri del Congresso - si sentono parte già del Trattato di Parigi 1814, per nulla intenzionate a farsi legare le mani dal ministro inglese, il visconte Castlereagh, dal principe austriaco Klemens von Metternich e dallo Zar Alessandro I. Un dispaccio impiegava tre settimane da Vienna a Parigi, un mese per Londra e due mesi per Mosca, i plenipotenziari di Vienna erano autonomi, riservati, senza twitter, hacker, Wikileaks, Snowden.
Il dilemma Borges-Sciascia divide ancora storici e opinione pubblica. Se lord Byron, inglese, gufava contro i suoi a Waterloo, auspicando «di vedere su una picca la testa di quell’eunuco di Castlereagh e quel tagliagole di Wellington», il docente di Cambridge Brendan Simms la considera «la prima operazione Nato, con Wellington combattevano inglesi, tedeschi, olandesi, belgi…». Kissinger osserva nel suo ultimo saggio World Order, come Vienna valga la Pace di Westphalia 1648, che mette fine a trenta anni di guerre religiose. Con tutti i suoi limiti, sentimenti e aspirazioni nazionali negletti, dinastie imposte contro le aspirazioni locali, confini disegnati a tavolino, il Congresso di Vienna anticipa l’idea odierna che un accordo diplomatico, pur mediocre, sia sempre superiore alla distruzione delle battaglie, perché – per dirla con il certo non pacifista Winston Churchill - «il bla bla diplomatico è preferibile alla guerra».
Il ruolo di Talleyrand
Le potenze dominanti devono presto accorgersi che la loro influenza non è assoluta. L’astuto inviato francese, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord comprende che Parigi può giocare sulle divisioni tra Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna, e, anticipando il trasformismo di De Gaulle e Mitterrand, opera su tanti fronti. Già vescovo di Autun, rivoluzionario dopo il 1789, ministro degli Esteri di Bonaparte e inviato a Vienna come capo della diplomazia del restaurato monarca Luigi XVIII, Talleyrand ambisce a ripristinare i confini pre-rivoluzionari e avrà risultati imprevedibili nel 1814.
Dimenticato è oggi il contributo di Friedrich von Gentz, «Hofrat», consigliere privato di Metternich, giornalista persuaso che l’ordine debba regnare su un’Europa che la libertà del 14 luglio 1789 ha trasformato in carnaio, non nel cenacolo illuminista sognato da Voltaire e Locke. Von Gentz muore intristito dall’amore per la ballerina Fanny Elssler (tocca a Metternich pagare i funerali dell’amico), ma a Vienna anticipa il ruolo degli intellettuali moderni negli affari internazionali, dalla Guerra Fredda al conflitto con il terrorismo, scrivendo saggi, partecipando a balli e banchetti, promuovendo conversazioni informali tra i diplomatici. Perché il Congresso fu anche festa mobile: aristocratici, dame, cicisbei, borghesi arricchiti, cortigiane, brindano a champagne, in balli inebrianti, allo scampato pericolo rivoluzionario dell’«usurpatore corso», come scrive lo storico Brian Vick nel brillante saggio The Congress of Vienna: power and politics after Napoleon.
«L’Europa senza distanze» che Metternich ha in mente, nasce in salotti eleganti, come quello di Fanny Arnstein, dove il messo papale blocca in un angolo il povero Castlereagh perorando la causa pontificia. L’austero nazionalista tedesco von Treitschke depreca «la diplomazia da salotto», ma chiacchierando, la nuova classe dirigente smussa differenze e crea compromessi. Vick supera il dilemma Borges-Sciascia e considera l’Europa dopo Vienna e Waterloo non scontro tra reazionari e rivoluzionari, ma «cauto consenso tra liberali moderati e conservatori riformisti, per tutelare i popoli da pericolosi esperimenti estremisti».
Un’eco ancora viva
Quando i valzer si spengono a Vienna lo Zar Alessandro («troppo debole per l’ambizione, troppo ambizioso per la vanità» secondo Metternich) concede la Galizia all’Austria e Thorn alla Prussia, in cambio della Polonia. La Prussia prende la Sassonia, parte della Westphalia, la Pomerania e la riva sinistra del Reno, come imposto da Londra contro Parigi. Il regno olandese include il Belgio. L’Austria ottiene Tirolo, Baviera, Württemberg e Baden. La Germania diventa potenza, il Papa torna nei suoi Stati, i Borboni a Napoli. Milano e Venezia cadono sotto Vienna, detestata dai carbonari alla Pellico, amata da tanti anonimi burocrati italiani per le future divisioni del Risorgimento, Genova è piemontese, Toscana e Modena sotto l’influenza austriaca, Parma e Piacenza assegnate a Maria Luisa, consorte di Napoleone.
Le barricate del 12 gennaio 1848 a Palermo incrineranno quest’ordine, ma solo la Prima Guerra Mondiale, nel 1914, lo distruggerà. Cento anni dopo è raro, dalla crisi euro all’Ucraina, l’evento di prima pagina che non abbia un’eco a Vienna 1815: nel male, ma anche nel bene.