sabato 20 giugno 2015

La Stampa 20.6.15
Il caso Roma, vera trappola sul futuro del premier
di Marcello Sorgi


L’ondata negativa che ha portato Renzi e il Pd alla sconfitta nei ballottaggi delle amministrative continua. Lo dicono anche gli ultimi sondaggi effettuati dopo il voto. E in cima alle ragioni per cui l’opinione pubblica ha voltato le spalle a Renzi c’è la questione romana e il ritardo con cui il premier di fronte alle decisioni da prendere per il Campidoglio indugia o addirittura arretra.
Si sa: sul destino del sindaco e dell’amministrazione investita dallo scandalo di Mafia Capitale si confrontano due linee nel Pd. Una è quella di Renzi, che punta alle dimissioni del primo cittadino perché ritiene che sebbene Marino non sia coinvolto nell’inchiesta, il giudizio negativo sul degrado in cui è precipitata la Capitale durante la sua gestione non sia recuperabile. Dunque: fuori Marino, rottamazione dell’amministrazione e Roma al voto anticipato con Torino, Milano, Napoli, in cui l’apertura delle urne è annunciata per la prossima primavera.
L’altra linea, alternativa a quella del premier, è quella dello stesso Marino e del presidente del Pd Orfini che da sei mesi è impegnato come commissario del Pd romano e ripulire il partito. Orfini vuol salvare il sindaco e dotarlo di una nuova amministrazione in cui entrerebbero esponenti di primo piano del Pd nazionale, a cominciare da lui stesso che assumerebbe il ruolo di vicesindaco. Si tratterebbe insomma di un riconoscimento al ruolo attivo di denuncia che Marino ha avuto rispetto ai corrotti e di un tentativo di dimostrare che il Pd, accantonate le mele marce, è perfettamente in grado di esprimere una giunta all’altezza delle necessità.
Ma paradossalmente è proprio questa strategia del presidente del Pd a collidere con gli obiettivi di Renzi. Se il piano Orfini non dovesse funzionare, Marino, come ha già fatto nella conferenza stampa in cui ha annunciato che intende ricandidarsi, con o contro i partiti che lo hanno sostenuto, avrebbe buon gioco a scaricare sul governo la responsabilità del fallimento, spiegando che lui aveva tentato un intervento straordinario, basato anche sull’ipotesi di uno sfondamento del patto di stabilità pur di salvare Roma e recuperare il consenso dei cittadini, ma il governo glielo ha impedito. E se invece, malgrado le previsioni pessimistiche, la nuova giunta dovesse farcela a tirar fuori la Capitale fuori dal disastro in cui è precipitata, il Campidoglio si trasformerebbe in un esperimento alternativo ai metodi renziani e alle difficoltà che il governo centrale non sempre è in grado di affrontare. Per Renzi, in entrambe i casi sono prospettive inaccettabili.