lunedì 15 giugno 2015

La Stampa 15.6.15
La Camusso al contrattacco
“Tutto sbagliato sul Jobs Act”
di Ilario Lombardo


Ha ascoltato per due giorni. Ha ascoltato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco dire che la revisione degli assetti contrattuali sta favorendo l’inversione del ciclo economico. Ha ascoltato il ministro Giuliano Poletti esultare per aver completato «al 100%» la riforma del Lavoro e contare il doppio dei contratti dopo l’introduzione del Jobs Act. Al terzo giorno, Susanna Camusso prende la parola per chiudere le Giornate del Lavoro organizzate a Firenze dalla Cgil, e difende la posizione degli ultimi mesi, il corpo a corpo ingaggiato contro i provvedimenti di Matteo Renzi. Lavoro, riforma della Pubblica amministrazione, scuola, pensioni: su tutto, bocciato Renzi, bocciato il cambiamento. Il premier e la sua squadra non hanno «un programma per portare fuori l’Italia dalle secche - è convinta Camusso –. Non vedo un pensiero, ma solo tante deleghe al sistema delle imprese». La leader della Cgil ripete quello che ha sempre detto: non gli piace il piano che di Renzi per l’Italia, non si fida, e fa «un po’ fatico a credere che abbia questo straordinario modello di Paese in mente».
Intervistata dal direttore del Sole 24 Ore Roberto Napolitano, Camusso si prende la scena in casa sua, ma nella città-simbolo del premier, per snocciolare le occasioni mancate del governo e respingere le critiche: «Non credo sia possibile convincere la Cgil di aver sbagliato: è lo strumento del Jobs act che è sbagliato». E non è esatto dire, come ha fatto Poletti nell’intervista alla Stampa di ieri, che i contratti stabili sono quasi raddoppiati, perché secondo Camusso quelle assunzioni, sono «figlie dei forti incentivi», e di un deserto occupazionale che durava da troppi anni, non del Jobs act. Tutto o quasi ruota attorno a questa riforma-cardine che ha abolito l’articolo 18. Le tutele crescenti «che hanno provocato il crollo dell’apprendistato» e «il generoso sconto contributivo riconosciuto alle aziende che assumono». Alle imprese, la Cgil lancia la sfida: sedersi a un tavolo e rinnovare i contratti, pubblici e privati: «Il sindacato non è ostile a legare il salario alla produttività ma prima vogliamo discutere di investimenti». Il discorso vola come è logico alla Fiat tornata a vendere e a investire a conclusione di anni di scontri con la Cgil: «Noi non ci siamo mai augurati che un’azienda fallisca o non venda – risponde il segretario - ma è stato un errore escludere la Fiom».
Per scardinare la narrazione (parola che usa più volte) di Renzi, Camusso è pronta a rispolverare il patto con Confindustria «in cui era prevista anche una patrimoniale», ma soprattutto a «riaprire il cantiere dell’unità sindacale» con Cisl e Uil, «subito, oggi». Basta rinvii, «basta divisioni». A un governo che «non vuole interloquire» bisogna rispondere uniti in difesa dei lavoratori. La sfida a Renzi è un percorso a più tappe: dalle norme contro il demansionamento, alle politiche attive, alla scuola. Sul capitolo dell’istruzione, Camusso si sofferma a lungo, perché è nei principi portanti della riforma scolastica che intravede l’eccessivo dirigismo con cui il premier imposta ogni legge, dalla Rai alla Pa: «Perché il sistema di misurazione del merito degli insegnanti deve essere affidato a un preside-sceriffo che agisce in solitaria?». Una controproposta ci sarebbe, secondo il segretario della Cgil: «Un vecchio accordo Ibm di 20 anni fa, in cui erano definiti i parametri oggettivi di valutazione».