mercoledì 10 giugno 2015

Il Sole 10.6.15
La centrale del malaffare
di Paolo Pombeni


Quando la politica si trasforma in tumulto di piazza non c’è da gioire
Bisogna però aggiungere che una politica travolta da uno scandalo come quello denominato “mafia capitale” ha fatto tutto il possibile e anche di più per scatenare gli istinti di coloro che speculano sul rigetto della politica da parte della gente.
Non può fare a meno di colpire il fatto che, sebbene la tempesta sulla corruzione abbia trasversalmente colpito sia politici (e funzionari) di destra (inclusa quella estrema) sia politici (e funzionari) di sinistra, nei tumulti ci sia stato un fronte confuso che non solo andava dal M5S a Casa Pound, ma che vedeva presenti persino esponenti dell’Ncd. Un segnale piuttosto chiaro del punto a cui è giunta la confusione sotto il sole romano. Ovviamente non è arrivando alla famosa notte nera in cui tutte le vacche sono nere che si giungerà a prendere seriamente in mano una riforma di sistema che è urgente e che deve impegnare prima di tutto la politica, perché la magistratura, per evidenti ragioni, arriva quando i reati sono stati compiuti, mentre è assolutamente necessario studiare come prevenirli.
È qui che il discorso diventa complicato. Nel nostro sistema si è pensato che il modo migliore per porre un argine ai possibili abusi fosse quello di complicare al massimo i percorsi burocratici. Il nostro paese ha sulla carta normative rigorosissime sugli appalti, conosce regolamenti di precisione bizantina per organizzare ogni atto di una pubblica amministrazione, richiede controlli, firme congiunte e ogni genere di diavoleria per rendere la vita difficile agli amministratori. Si sono ridotte le competenze della politica, sospettata a prescindere di essere sempre “discrezionale”, e si sono aumentate quelle della burocrazia interna, che si presume invece più legata al rispetto dei formalismi. Il risultato è che sono aumentate le incriminazioni per sviste e atti prodotti in maniera impropria, ma di contenuto poco rilevante (come sanno tutti gli amministratori), ma non si è riusciti a mettere un argine alla malversazione.
Il caso romano è emblematico per le sue dimensioni e per una serie di grettezze venute alla luce con le indagini, ma che sia solo la punta di un iceberg è piuttosto indubitabile. Del resto è difficile immaginare che in un sistema dove una certa correttezza fosse la regola sia facile lasciar crescere una centrale di malaffare di quella portata che coinvolge non solo politici, ma anche una bella quota di funzionari che collaborano con essi.
Il fatto è che il sistema italiano è molto basato su un deficit di etica pubblica, che viene mascherato come un virtuoso aggiramento di leggi soffocanti, aggiramento che si finge di fare in nome di alti valori: un tempo favorire la propria ideologia di riferimento, ora aiutare gli “amici” e mettere in condizione l’ente pubblico di affrontare “emergenze” che con un po’ di buona volontà si trovano sempre.
Che questo avvenga più a livello di governi periferici che di governo centrale non stupisce più di tanto. Dopo gli anni di Tangentopoli il livello centrale è molto sotto i riflettori e la fortuna degli uomini politici a livello nazionale non si gioca più in maniera significativa sulle clientele. Ovviamente ci sono quelle per così dire d’alto bordo, ma riguardano una sfera limitata di personaggi. Invece a quel livello conta l’immagine e i riflettori della pubblica opinione sono accesi giorno e notte, tanto più che esiste verso i grandi della politica un pregiudizio negativo. Certo anche lì del marcio può nascondersi nel funzionariato dei centri decisionali centrali (e lo si è visto), ma sono sempre luoghi in cui esiste se non altro una competizione per emergere che rende pericoloso l’esercizio della corruzione, perché diventa un’arma di denuncia nelle mani dei concorrenti.
Tutto questo è molto più ridotto nel mondo dei cosiddetti poteri locali. Il pregiudizio su di essi è minore e minore è l’attenzione dei media. In fondo siamo rimasti come immagine a quella di centri decisionali con poche risorse e scarso potere di spesa, mentre in realtà il decentramento ha diffuso molto le capacità di intervento economico sul territorio. Il caso della sanità è solo la punta di un iceberg, ma la capacità di spesa degli enti locali, a volte anche solo per delega del potere centrale, è più diffusa di quanto si immagini.
Una tradizione di rapporti per così dire “di vicinato”, un po’ politico un po’ di routine, affligge nei territori la gestione della cosa pubblica da molti decenni. Quel che un tempo era semplicemente una traduzione dei poteri di patronato dei partiti è progressivamente diventato un costume di discrezionalità diffusa e di scarsa sensibilità per il rispetto sostanziale delle leggi (che si possono sempre accusare di essere malfatte o imposte dall’avversario politico di turno). Così si è scivolati sempre di più verso una “disinvoltura” nei rapporti (chiamiamola così) dopo la quale il passo verso la corruzione diventava breve, facile e quasi inavvertibile.
Il peggio che si può fare oggi è lasciare il problema del marciume romano nelle mani della pruderie dei populismi, ma altrettanto è fingere che sia il caso di un gruppo di “mariuoli” da colpire e da dimenticare. Il problema della ricostruzione di un’etica pubblica che consenta a questo paese di essere come suol dirsi “normale” è un dovere urgente a cui devono applicarsi i partiti e le classi dirigenti del paese nel loro complesso evitando le speculazioni a danno reciproco. È un problema che riguarda tutti, non fosse altro, se non si volesse purtroppo dar peso al versante morale, perché condanna il nostro sistema economico-sociale a stare fuori dal club dei paesi avanzati.