mercoledì 10 giugno 2015

Il Sole 10.6.15
Il «debutto» del populismo
di Lina Palmerini


Le Regioni leghiste contro il Governo. I sindaci con o contro Renzi, i Governatori che litigano tra di loro. Nord contro Sud, i Governi contro l’Europa. Sull’immigrazione è scattato un cortocircuito che non è frutto solo di lotta politica ma del fatto che il populismo è entrato nelle istituzioni e ne mette in crisi i livelli decisionali.
A cosa porta scrivere ai prefetti, come ha fatto Maroni, chiedendo di sospendere le assegnazioni di immigrati ai comuni lombardi? A niente. Porta a una lettera di replica in cui i prefetti spiegano che possono rispondere solo al ministro dell’Interno, cosa che Maroni sa bene essendo stato lui in quella stessa poltrona per diversi anni e avendo pubblicamente, anche in Parlamento, chiesto alle Regioni di accogliere secondo criteri di solidarietà. Dunque quella lettera non è una soluzione pratica, è altro. Anche se i problemi che il Governatore della Lombardia pone sono reali, non altrettanto realistiche sono le risposte. E così una venatura di populismo arriva fino al governo di una delle regioni più importanti d’Italia, spinta dalla carica demagogica di Salvini che arriva a chiedere ai cittadini di chiamare le prefetture. Questo produrrà l’effetto di bloccare gli sbarchi? O di concentrare gli immigrati al Sud o convincere l’Europa a una ripartizione proporzionata delle quote? No. Anche questa non è una soluzione pronta per risolvere una questione allarmante come l’ondata migratoria ma, piuttosto, è la scalata politica di Salvini alla leadership del centro-destra.
Il problema è cosa produce il populismo quando si infiltra nelle istituzioni. Produce quello che vediamo: un cortocircuito istituzionale in cui ciascun livello non riconosce l’altro. E quindi i Governatori leghisti fanno la guerra all’Esecutivo e ai prefetti. Questo innesca la reazione del Governo ma anche degli altri presidenti di Regione che si scagliano contro i “colleghi” del Carroccio. Il Nord si mette contro il Sud. E i sindaci stanno in mezzo tra i Governatori che li minacciano di togliergli i fondi se accolgono immigrati mentre – contemporaneamente – il Governo gli promette incentivi se li accoglieranno. È normale?
Insomma, la vicenda dell’immigrazione non si può leggere solo come una guerra dentro il centro-destra o tra Salvini e Renzi. È anche questo, certo. E infatti ieri questo derby politico ha portato Forza Italia a fare una proposta al “rialzo” rispetto alla Lega: cioè aprire all’opzione militare contro la Libia. Anche questa è una soluzione irrealistica ma è funzionale alla gara al populismo innescata nel centro-destra. Il punto di non ritorno è quando queste gare si fanno nei luoghi istituzionali e vengono ingaggiate da chi ha un ruolo istituzionale. Allora si arriva a un ribellismo e a un cortocircuito in cui si mettono in discussione i livelli decisionali e alla fine anche la legittimità della decisione. Nessun interlocutore riconosce la legittimità dell’altro e fa propaganda per sé o per il suo partito. Pezzi di Stato che si combattono l’uno contro l’altro per puri fini di partito o di conquista di leadership come sta accadendo.
In fondo – così – si arriva alla vera secessione, non un muro che taglia in due l’Italia ma una lotta tra livelli istituzionali diversi, guidati da partiti diversi, ciascuno che risponde al proprio territorio, alle urne di quella regione o città. Oggi sono i Governatori leghisti contro tutti, domani ci saranno anche i 5 Stelle contro Salvini e gli uni contro gli altri. Uno Stato che si perde e perde senso dentro una rincorsa alla conquista o al mantenimento di pacchetti di voti. Una volta, con la Prima Repubblica, era il clientelismo la scorciatoia politica per avere i consensi. E ci ha lasciato il debito pubblico di oggi. Quello che può lasciare il populismo si inizia a vedere.