mercoledì 10 giugno 2015

Corriere 10.6.15
I frutti avvelenati del voto
di Massimo Franco


Sul fianco del governo si sono conficcate due spine fastidiose: una è la riforma della scuola, l’altra l’immigrazione che sta mettendo le istituzioni una contro l’altra.
L’ inciampo in Senato sulla riforma della scuola tocca un argomento delicato per il Pd: sebbene ieri sia stata la maggioranza e non il partito del premier Matteo Renzi a far mancare i voti. La questione dell’immigrazione sta prendendo una china perfino più inquietante. Non divide tanto sinistra e destra, ma Nord e Sud. Frantuma l’unità nazionale con un’isteria crescente, fomentata dalla strategia xenofoba leghista. E rischia di offrire all’Europa un ottimo alibi per aiutarci ancora di meno ad accogliere i disperati che approdano in Italia attraverso il Mediterraneo.
La domanda è perché tutto questo accada ora. Una risposta è rintracciabile probabilmente nei risultati elettorali del 31 maggio alle Regionali e nelle inchieste della magistratura su Mafia Capitale. Il sospetto è che le opposizioni, dentro e fuori dall’Esecutivo, abbiano «letto» il voto come un indebolimento del governo e una prova della propria capacità di sopravvivenza. E si siano decise ad incalzare il premier su tutti i suoi punti deboli, o presunti tali, convinti che la «pancia» del Paese, quella che vota contro e quella che si astiene, sia pronta ad assecondare un’offensiva populista dai toni esagitati.
In apparenza, lo scivolone in commissione al Senato su un parere di costituzionalità in tema di riforma della scuola, è solo un «incidente tecnico», nelle parole di Luigi Zanda: anche perché il Pd ha votato compatto, e sono state le assenze degli alleati di Alleanza popolare a provocare l’incidente. Tuttavia, l’episodio ripropone due problemi seri. Il primo è lo scontento della minoranza dei democratici sulle norme decise da Renzi, e la genericità delle modifiche che pure il premier ha detto di essere disponibile a fare. Il secondo è l’incognita sui numeri della maggioranza a Palazzo Madama. Sulla carta ci sono, risicati; ma senza una ricomposizione del Pd, l’incertezza diventa una pericolosa costante.
L’altra spina, quella extraparlamentare, spaventa per motivi diversi. Segna una radicalizzazione delle opposizioni, e la rinuncia di tutto l’arcipelago del centrodestra a qualunque strategia moderata. Quando perfino i capi dei gruppi parlamentari di Forza Italia, Renato Brunetta e Paolo Romani, ipotizzano di «fermare l’invasione di immigrati intervenendo anche militarmente», significa che si è rotto qualcosa. La spiegazione più immediata è che il partito di Silvio Berlusconi viva una tale crisi di identità e di voti da essere costretto a mutuarla dalla Lega di Matteo Salvini. Ma poi si deve registrare l’inquietudine di alcuni amministratori del Nord anche di centrosinistra.
Ci si accorge che il candidato sindaco del governo a Venezia, Felice Casson, non dice cose molto diverse dai leghisti, seppure con parole meno truci. Si apre un contenzioso tra i prefetti che rappresentano lo Stato e «Roma», e i primi cittadini e i governatori forti dei consensi delle popolazioni locali. E la polemica furiosa sugli immigrati, anzi «sulla pelle dei disperati», come scrive l’ Osservatore romano , quotidiano del Vaticano, assume contorni più marcati e gravi. Prelude ad una lacerazione insieme geografica e culturale, che attraversa gli schieramenti e l’opinione pubblica. E sta mettendo le istituzioni l’una contro l’altra.