il Fatto 25.6.15
Fassina se n’è ghiuto e solo l’ha lasciato
di Antonio Padellaro
“Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato!”: così Togliatti canzonava su Rinascita (con lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia) quando, negli anni 50, il grande intellettuale lasciò il Pci dopo una dura polemica sull’illiberalità del comunismo. Dal sostanziale silenzio con cui è stata accolta ai piani alti del Pd l’uscita di Stefano Fassina, pensiamo che lo stato d’animo di Renzi non sia dissimile da quello di una soddisfatta indifferenza, anche se lui non è Togliatti così come Fassina non è Vittorini. Del resto, se n’erano già ghiuti anche Cofferati e Civati senza che il partito renziano battesse ciglio, e si può capire visto che la corrente dei rompiscatole sottraeva visibilità al leader supremo. “Casi personali”, liquidano la cosa al Nazareno, eppure a furia di abbandoni nel Pd sta emergendo qualcosa che ha l’aria di una pulizia etnica del ceppo Ds. Della vecchia Ditta, chi ancora non ha sbattuto la porta ha vita grama: o si dedica all’imbottigliamento dei vini (D’Alema) o si cuoce nell’irrilevanza (Bersani e Cuperlo) o cerca di mimetizzarsi come le sogliole sui fondali (Fassino e Veltroni) o fonda correnti pontiere sperando nella clemenza di Matteo (Speranza, Martina, Damiano). Quando andò via Civati, i renziani si chiesero quanti elettori lo avrebbero seguito (così come Stalin chiedeva quante divisioni avesse il Papa). Non rendendosi conto che i voti in fuga da Renzi appartengono principalmente a quel popolo di sinistra, radicato nelle regioni “rosse” (e magari con tessera Cgil) che non si riconosce più nel nuovo partito democristiano. Di cui invece fa parte Enrico Letta che infatti non si dimette, ma aspetta paziente sulla riva del fiume.