Corriere La Lettura 14.6.15
Gli zar Romanov non furono dispotici come i bolscevichi
di Ettore Cinnella
Nel febbraio 1613 l’assemblea della terra russa ( zemskij sobor ) elesse zar il sedicenne Michele Romanov. Si chiudeva così il «periodo dei torbidi», iniziato dopo l’estinzione della quasi millenaria dinastia dei Rjurikidi. Lotte intestine, falsi pretendenti al trono, un’invasione straniera e gravi carestie avevano prostrato il Paese, che agognava alla stabilità. La nuova dinastia avrebbe regnato fino al marzo 1917 (nelle foto: lo zar Nicola II e la sciabola di suo cugino il granduca Nicola, uno dei cimeli che la casa Bonino manda all’asta domani, 15 giugno, a Roma). L’elezione di Michele non significò l’immediata nascita di un regime autocratico, perché lo zemskij sobor seguitò a essere convocato durante il suo regno e nella fase iniziale del suo successore Alessio. L’assolutismo russo era ancora in via di formazione e sarebbe stato perfezionato in seguito. Ma Michele non reiterò la solenne promessa che nessuno sarebbe finito al patibolo senza regolare processo, strappata dai nobili per ben due volte, nel 1606 e nel 1610, ai precedenti sovrani. La dinastia dei Romanov fu, per circa un secolo, di sangue russo. Ma la seconda moglie di Pietro il Grande era una contadina lituana che, con il nome di Caterina I, salì sul trono nel 1725 alla morte del marito. E Caterina II la Grande era tedesca. L’apogeo dell’assolutismo si ebbe con il regno di Nicola I. Sarebbe tuttavia errato accostare l’autocrazia zarista al selvaggio dispotismo di Stalin. La monarchia dei Romanov, basata sul potere illimitato del sovrano, nell’800 promosse una vasta codificazione e, con le riforme di Alessandro II, garantì una certa indipendenza ai magistrati.