martedì 9 giugno 2015

Corriere 9.6.15
La «lezione» di economia per la Coalizione di Landini (e Boldrini indica la strada)
di Enrico Marro


ROMA Se la sinistra a sinistra del Pd era alla ricerca di un programma economico, lo ha trovato nell’undicesimo rapporto sullo Stato sociale, presentato ieri dall’economista della Sapienza, Felice Roberto Pizzuti. Nell’aula 1 della facoltà di Economia e commercio sono intervenuti, tra gli altri, la presidente della Camera, Laura Boldrini, e il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, reduce dalla due giorni nel vicino auditorium dei Frentani, dove ha cercato di dare una forma politica alla sua «Coalizione sociale». Se ai Frentani la cornice etica è stata dettata dal costituzionalista Stefano Rodotà, nell’aula 1 quella economica l’ha disegnata Pizzuti. Una lettura alternativa della crisi finanziaria, delle sue conseguenze e delle proposte per uscirne, esplicitamente keynesiane e ispirate a Federico Caffè, il grande e indimenticato economista di questa stessa facoltà, declinato in una versione più radicale di quella per esempio cara a Mario Draghi e Ignazio Visco (presidente della Bce e governatore della Banca d’Italia), due fra i suoi allievi di maggior successo.
In platea, tra gli studenti, si riconoscono Stefano Fassina, economista e parlamentare della minoranza pd; Alfonso Gianni, già braccio destro dell’ex leader di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, tra i primi a scoprire Pizzuti; Gian Paolo Patta, da sempre esponente della sinistra Cgil; Valentino Parlato, tra i fondatori del quotidiano il manifesto .
Pizzuti sintetizza i dati del rapporto, un lavoro serio e documentato al servizio di una tesi dichiarata: la difesa del Welfare State come mezzo per arginare le ingiustizie del capitalismo. La spesa sociale pro capite in Italia, dice il professore, è inferiore alla media europea e le persone «a rischio di povertà» o di «esclusione sociale» sono «17,3 milioni — circa 2,6 in più che nel 2010, pari al 29,4% della popolazione». La nostra produzione industriale «si è ridotta di circa un quarto, tornando ai valori di quasi 30 anni fa». Il tutto è avvenuto a spese di lavoratori e pensionati. Che fare? Siamo l’unico Paese, insieme alla Grecia, senza una forma di «reddito minimo garantito», sottolinea Pizzuti. Che propone anche flessibilità in uscita sulle pensioni, più spesa pubblica sull’istruzione, di spingere i fondi di previdenza integrativa a investire di più in Italia anziché all’estero, di coprire i buchi contributivi dei giovani quando non lavorano e di fissare diversi coefficienti di calcolo in base «alle diverse aspettative di vita connesse alle condizioni sociali e di lavoro».
«Il tempo è scaduto, bisogna agire», rilancia Boldrini, sottolineando che «l’assoluta priorità è il sostegno ai redditi più bassi» attraverso forme di reddito minimo di garanzia o con un fisco più progressivo. Quel che è certo, conclude, è che «le politiche economiche nazionali ed europee vanno radicalmente ripensate». Nemmeno il Jobs act va bene, dice infine Landini, «perché come fa a calare la precarietà se hanno aggiunto un contratto dove ti possono licenziare?». E nemmeno sulle pensioni c’è da fidarsi: «Vogliono la flessibilità in uscita solo perché così possono fare un po’ di assunzioni a tutele crescenti». Tocca al presidente dell’Inps, Tito Boeri, richiamare tutti a fare meno accademia e più proposte dettagliate e realistiche. E tocca al sottosegretario alla presidenza, Claudio De Vincenti, difendere gli 80 euro, perché «i consumi cominciano a riprendersi», e il Jobs act, perché «aumentano i contratti a tempo indeterminato». Ma questa è l’altra sinistra. Quella di governo.