martedì 2 giugno 2015

Corriere 2.6.15
«Ho provato quel dolore. Se il padre avrà bisogno un giorno lo incontrerò»
È successo di nuovo.
Dall’altra parte del filo silenzio, un sospiro. Si può quasi sentire lo sgomento, in quel sospiro. Lucio Petrizzi mette assieme chissà quanti pensieri e ricordi in una sola parola: «Nooo».


Ci sono argomenti che non hanno bisogno di introduzioni. Lui, professore di chirurgia veterinaria a Teramo, nel 2011 perse sua figlia Elena, 18 mesi, lasciandola in macchina sotto il sole mentre invece la credeva al sicuro, all’asilo. E adesso non ha bisogno di sentirsi dire che cosa è successo. Lo sa già, anche se non ha ancora visto i telegiornali, anche se non ha letto della notizia.
Era già capitato un’altra volta, dopo il suo caso. A Piacenza era morto Luca, un bambino di due anni. «Come sprofondare nell’abisso. Mi è sembrato di tornare nel parcheggio dell’università e avere fra le mie braccia Elena incosciente» aveva detto Lucio. Che oggi dice «sarà sempre così, le sensazioni sono le stesse ogni volta che sento di un altro bambino morto in questo modo, non importa dove. Se penso ai genitori e a quello che dovranno passare... So che niente potrà confortarli in questo momento, nessuna parola, nessun abbraccio. Poi con il tempo, come abbiamo fatto io e mia moglie, potranno recuperare un po’ di serenità, se si può chiamarla così. Vorrei scrivergli una lettera, magari fra qualche settimana. Vorrei provare a fargli capire che andare avanti si deve, si può, anche se quella di un figlio è una perdita immensa che non potrà mai essere colmata da niente, anche se perdere una bambina in questo modo significa portarsi appresso per sempre il peso della responsabilità. Con il passare dei mesi, degli anni, impari a razionalizzare, a fartene una ragione. Ma non smetterai mai di dirti che la sfortuna ha voluto che capitasse proprio a te, non finirai mai di ripercorrere tutti i passi di quel giorno e dirti che se solo avessi fatto così, se, se, se... Non ha senso ma tu non puoi fare a meno di raccontarti tutto questo».
Adesso la vita del professore e di sua moglie sono le due bambine che riempiono le loro giornate. La più grande (quasi quattro anni) è nata poco dopo la morte di Elena. Una benedizione. «Sono la nostra gioia, ci hanno aiutato e ci aiutano ogni giorno ad andare avanti». Lucio racconta dei contatti con il padre di Luca, il bimbetto morto a Piacenza. «Mi aveva cercato, è molto attivo sul fronte della legge per installare i dispositivi che aiutano a non dimenticare i bambini in macchina. Ma come sempre di questa questione non importa niente a nessuno. Tanta solidarietà al momento, tanta comprensione, ma poi tutto resta fermo allo stesso punto. Eppure ci vorrebbe davvero poco, si potrebbero salvare delle vite perché drammi come il nostro possono accadere e come ho già detto negare che possano accadere significa permettere che succedano di nuovo».
Un «meccanismo neurofisiologico» l’aveva definito lui stesso in passato, «si sconnette la coscienza, si fanno le cose in automatico. Per quanto può sembrare assurdo capita». La felicità di Lucio sarebbe avere la certezza che non ci sia mai più un’altra Elena, un altro Luca, un’altra Gioia ...