giovedì 25 giugno 2015

Corriere 25.6.15
Unità e nuova rappresentanza. Camusso e Sangalli rilanciano
La risposta di sindacati e ceti medi al «renzismo»
di Dario Di Vico


Le forze sociali vogliono tornare in gioco e recuperare il terreno che hanno perduto? Una cosa (importante) la possono fare da sole senza dover chiedere niente alla politica: costruire l’unità. Il tema dopo una lunga amnesia è tornato alla ribalta nell’agenda dei sindacati del lavoro dipendente e lo sta per tornare anche in Rete Imprese Italia, l’organismo che federa commercianti e artigiani. Nel primo caso a dare il via è stata una lettera di Susanna Camusso ai suoi omologhi Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, nel secondo sarà da luglio il ritorno per la terza volta di Carlo Sangalli nel ruolo di portavoce di Rete Imprese Italia. Si parla molto di disintermediazione dei rapporti sociali e Matteo Renzi ne ha fatto una leva della sua azione, i corpi intermedi hanno replicato duramente ma escono ammaccati da questa stagione politica. Si tratta allora di superare le lamentele sullo status quo e ripartire rilanciando gli uni un progetto innovativo di unità del lavoro dipendente e gli altri una vera confederazione del ceto medio produttivo che metta assieme Confcommercio, Confesercenti, Cna e Confartigianato magari con le altre organizzazioni minori.
È ovvio che viste le sconfitte delle ipotesi unitarie accumulate in casa confederale e lo stato di salute non confortante di Rete Imprese Italia non si possa riprendere il cammino solo puntando sul volontarismo organizzativo e su una formula purchessia. Cgil, Cisl e Uil, ad esempio, devono evitare di dare l’impressione che la ricerca dell’unità sia meramente in funzione anti-Landini e privilegiare invece la costruzione di un nuovo tessuto di rappresentanza che valorizzi il «basso». Più saranno radicati in una riforma della contrattazione che si avvicini ai luoghi di lavoro più il processo unitario può nascere robusto. Per dirla in breve non basta scrivere a Roma un manifesto che sommi le rivendicazioni delle tre sigle per far rinascere schemi comuni, che invece sono legati soprattutto all’individuazione di una politica sindacale più attenta ai mutamenti reali indotti dalla crisi. In questo modo il sindacato eviterebbe di dividersi pro o contro Renzi e riconquisterebbe una legittimazione che in parte ha perso.
Per quel che riguarda artigiani e commercianti Carlo Sangalli è stato tra coloro che hanno creduto di più al varo di Rete Imprese Italia diventandone, non a caso, nel 2010 il primo portavoce. Tra pochi giorni lo sarà per la terza volta – in virtù della rotazione semestrale tra le organizzazioni sancita nella governance – e ha tutte le intenzioni di riscommettere sull’unità. Oggi le associazioni che compongono Rete si presentano unite solo alle audizioni parlamentari e poi continuano a coltivare i loro orticelli organizzativi. Nel febbraio del 2014 hanno riempito piazza del Popolo a Roma ma quel successo non è stato capitalizzato e oggi artigiani e commercianti hanno la netta sensazione di aver perso peso e di essere in balia delle politiche governative. È chiaro che ricostruire l’unità non vuol dire solo rivedere le regole del condominio bensì inventare una nuova politica della rappresentanza del ceto medio che crei valore per gli associati, dia loro servizi innovativi, li accompagni nell’export, unifichi i consorzi fidi. Non è affatto detto che Sangalli ce la faccia ma il suo semestre da portavoce delimiterà un tempo sufficiente per decidere. Se andare avanti o se, di fatto, rottamare l’esperienza di Rete Imprese. Nella seconda ipotesi, per una volta, nessuno potrà dare la colpa alla politica.